29.12.07

Un anabattista a Bologna e la Super gregem dominicum



- Storie scomode -  

PAPA PIO V,
LA COSTITUZIONE
"SUPER GREGEM DOMINICUM"
  

E UN ANABATTISTA A BOLOGNA
 
All’inizio del 1566 fu eletto Papa, con il nome di Pio V, uno dei più risoluti e intolleranti inquisitori che abbia mai prodotto la Chiesa Cattolica. Si trattava del Cardinale domenicano Antonio Michele Ghislieri, un personaggio da anni ossessionato nemico degli “eretici” e convinto partigiano della linea dura e intransigente da adottarsi nei confronti di qualsiasi dissidente dei vertici ecclesiastici ( l’eretico! ) sia che fosse all’interno della Chiesa Cattolica sia che l’avesse abbandonata.
Pio V si considerava la suprema ed infallibile espressione di una Istituzione che doveva essere difesa e salvaguardata con ogni mezzo, al di sopra di ogni cosa, persona o ragione.
La politica repressiva e intollerante espressa da questo Papa si sarebbe attuata attraverso la Congregazione della Santa Romana ed Universale Inquisizione, da lui personalmente presieduta e diretta, nei confronti di qualsiasi dissenziente e senza alcun rispetto umano. (a) 
Tutto ciò senza remore o alcun senso di colpa derivante dalla mitezza richiesta ai discepoli di Gesù e, tanto più, al suo preteso Vicario in terra.

La Costituzione Apostolica dell'8 marzo 1566
"Super gregem dominicum"
[ Testo originale latino in nota (b]
 
 Non deve quindi considerarsi un errore di percorso, ma piena e cosciente consapevolezza ispirata alla condanna e demonizzazione del diverso la pronta emanazione, da parte di Pio V, della Costituzione Apostolica Super gregem dominicum che regolamentava, con un rigore inconcepibile e con un totale disprezzo per la vita umana, la cura e l’assistenza dei malati.
Questa Costituzione inaspriva sensibilmente le disposizioni del IV Concilio Lateranense (c) e generalizzava una precedente normativa del 1543 stabilita da Papa Paolo III per la città di Roma, su sollecitazione di Ignazio di Lojola, che inibiva ai medici di prestare qualsiasi cura e assistenza a quel malato che, dopo la prima visita, non si fosse confessato nei tre giorni successivi. I malati che non obbedivano all’obbligo della confessione dovevano essere abbandonati al loro drammatico destino e considerati come eretici impenitenti od ostinati, meritevoli quindi di condanna a morte.
I medici che non si fossero scrupolosamente attenuti a queste disposizioni della Chiesa, incorrevano nella scomunica riservata al Papa e radiati dall’Ordine, con l’ulteriore pericolo di essere considerati dall’Inquisizione come fautori (favoreggiatori) d’eretici (d).
La Costituzione Apostolica di Pio V, vergognosamente e incredibilmente reiterata da vari pontefici sino alla vigilia del XIX secolo (e) è talmente indegna, crudele e disumana che pone un'altra indelebile macchia su una chiesa desiderosa di dimenticare e di apparire "paladina" dei diritti umani e della difesa della vita.

Il Libro:
Un Auto-da-Fé celebrato in Bologna 
il 5 novembre 1618  
documento originale pubblicato con commentario e note da M. G.  
(Il testo si può leggere e scaricare gratuitamente dal sito liberliber al seguente indirizzo: 
Il libro narra l’Auto da fé, o Atto pubblico di fede, celebrato a Bologna il 5 novembre 1618, riportando una relazione scritta, all’epoca dei fatti, da un fratello della Confraternita di S. Maria della Morte alla quale erano affidati, nell’ultimo tentativo di conversione, i condannati a morte impenitenti.
Il documento, individuato nell’archivio dell’Ospedale Maggiore di Bologna, era tra quelli trasferiti dallo Spedale della Morte all’atto della sua chiusura e contenuto in uno dei tre volumi che narravano l’attività della Confraternita nel periodo intercorrente tra il 1572 e il 1647.
Dopo aver riportato questa Relazione, il libro prosegue con l’aggiunta di un breve Commentario predisposto dall’autore/editore M.G. (Michelangelo Gualandi), nel quale, tra l’altro, vengono richiamate alcune fra le molte esecuzioni d’eretici avvenute a Bologna. (f)
IL FATTO
 
Nonostante fossero trascorsi ben cinquantadue anni dalla sua promulgazione, lo sfortunato protagonista del libro dovrà sperimentare gli orrendi effetti della Costituzione di Pio V.
Non sappiamo perché Asuero Bispinch, questo è il nome della vittima protagonista, sia giunto a Bologna. Forse per studio, forse per turismo, forse solamente di passaggio. E’ certo però che egli si ammala e, non potendo contare sull’ospitalità di una qualche famiglia patrizia, viene trasportato al pubblico Spedale della Morte.
Asuero Bispinch (g) è un giovane ventisettenne di nazionalità tedesca e di famiglia definita Luterana, ma, in effetti, anabattista-mennonita. (h) Al suo ingresso in Ospedale, di fronte alla richiesta di confessarsi, il nostro protagonista declina l’invito affermando di non essere cattolico.
Nello Stato della Chiesa, dove non è ammessa libertà religiosa, il malato non solo non può essere curato, in base alla Costituzione di Pio V ma, come eretico nato, deve essere consegnato all’Inquisizione che lo trasferisce nelle proprie carceri.
Qui Asuero Bispinch subisce il consueto, e da secoli ben sperimentato, trattamento inquisitoriale: interrogatori, pressioni psicologiche, torture fisiche, ossessionanti tentativi di conversione, minacce, false promesse, annullamento della personalità, senza ovviamente alcuna pietà o cura per il suo stato d’infermità.
La sua permanenza nelle carceri durerà per ben tre anni condizionata dalla difficoltà, per l’Inquisizione, di poter ottenere la conversione, quantomeno formale, della vittima. (i) Si tenga presente che il Sant’Officio deve cercare di evitare esecuzioni di impenitenti in quanto ciò manifesta un evidente affronto alla Chiesa ed un serio problema di credibilità per l’autorità del Santo Tribunale.
Alla fine, su ordine di Roma, viene emessa, quale ulteriore strumento di pressione, la sentenza che condanna il coraggioso Asuero ad essere "arso vivo come eretico impenitente".
Ovviamente l’esecuzione sarà, di proposito, rimandata per quasi un anno, al fine di consentire un ulteriore indebolimento psicologico della vittima, già in uno stato fisico menomato, ed ottenere così la desiderata abiura, anche con l'ausilio di continui, assillanti ed impietosi tentativi di conversione.
  
LA RELAZIONE

Nella sua estrema stringatezza, la Relazione è ben articolata e riesce ad evidenziare compiutamente sia l’angoscioso e violento metodo del Tribunale dell’Inquisizione sia quello della feroce esecuzione della sentenza: nel nostro caso avvenuta con il rituale dell’Auto da fè o Atto pubblico di fede. (l) 

Atti del Tribunale:
  • La carcerazione
  • Il processo.
  • Le istruzioni da Roma.
  • Le torture fisiche e morali.
  • I reiterati tentativi di conversione.
  • Le false promesse.
  • La sentenza, con la condanna ad essere bruciato vivo come eretico ostinato.

  L'esecuzione della Sentenza:
  • Fissazione della data e del luogo. 
  • Ingiunzione a tutte le componenti sociali, mediante l’affissione di avvisi nella città, a partecipare all’Auto da fé 
  • Nuovi, reiterati e assillanti tentativi di conversione del condannato da parte delle varie componenti del clero. 
  • Lettura pubblica della Sentenza dal Palco degl’Inquisitori, costruito per l’occasione nella chiesa dei domenicani. 
  • Consegna ai secolari per l’esecuzione della condanna. 
  • Intervento della Confraternita dei confortatori di s. Maria della Morte per nuovi, pressanti e ulteriori tentativi di conversione.
  • Presunta capitolazione del condannato, alla vigilia dell’esecuzione, e sua “conversione”. 
  • Sottoscrizione dell’abiura già preparata. 
  • Condanna commutata in rogo previa impiccagione al palo. 
  • Trasporto del condannato ed esecuzione pubblica. 
  • Dispersione delle ceneri.
Il giovane Asuero Bispinch venne strangolato (m), oltretutto malamente, e arso sulla piazza del Mercato di Bologna il 5 novembre 1618, davanti ad una grande folla delirante ed impietosa, dopo esservi stato trasportato legato sopra una sedia a causa delle sue condizioni di malato grave, rimasto senza cure.

CONCLUSIONI
Asuero morì certamente da vero martire, senza abiura!

Per le norme inquisitorie la pena di morte era obbligatoria per:

i relapsi, ossia per coloro che già pentiti e condannati dall’Inquisizione ricadevano di nuovo in errore,
- i dommatizzanti, ossia fondatori o animatori di movimenti in dissenso con le verità affermate dalle autorità ecclesiastiche,
- i pertinaci, coloro che non volevano piegarsi all’Inquisizione e ritrattare, pentendosi dei pretesi errori.
Escluso che la nostra vittima fosse un relapso, era nato eretico, o un dommatizzante, non era accusato di propaganda eterodossa, la condanna non poteva che riferirsi alla sua ostinazione e al rifiuto di convertirsi.
Una pretesa abiura in extremis, dopo aver eroicamente resistito a ogni tipo di sofferenza per ben tre anni, non è credibile. Inoltre se questa ci fosse stata realmente, la condanna al rogo avrebbe dovuto essere sospesa e commutata in altra pena. Pertanto l’abiura fu strumentalmente estorta per essere propagandata dall’Inquisizione onde evitare il rischio che i fedeli considerassero il condannato come un martire e si ponessero pericolose domande …
D’altra parte le descritte condizioni fisiche e psicologiche del nostro coraggioso Asuero non erano più tali da potergli consentire scelte consapevoli…
Roberto Derossi
Note:
  (a) - Cfr. Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia, Mondatori, Milano 2006, pp. 424-436.
  (b)- Costituzione Apostolica "Super Gregem Dominicum" Bull. Rom. Tom. 4, Part. 2, pag. 281.

 "Pius Papa Quintus ad perpetuam rei memoriam.
— Supra gregem dominicum nostra vigilantia divinitus creditum, vigilis speculatoris, prout nobis desuper conceditur, exercentes officium, ad ea, per quae animarum saluti cum divini nominis gloria consuli valeat, libenter intendimus, ut christifideles post baptismum in peccata lapsi per sacramentum poenitentiae Deo reconcilientur. 

1. Sane cum infirmitas corporalis nonnumquam ex peccato proveniat, dicente Domino languido, quem sanaverat: Vade, noli amplius рессагe, ne quid deterius tibi contingat, ас propterea provide fel. rec. Innocentius III medicis praeceperit, ut cum eos ad aegrotos vocari contingerit, ipsos ante omnia moneant, ut animarum medicos vocent, ne cum eis hoc in extrema aegritudine constitutis suadetur, in disperationis articulum incidant.

2. Nos igitur volentes hoc tam salutare praeceptum nulla temporis praescriptione aboleri, sed semper observari, constitutionem praefatam auctoritate apostolica tenore praesentium innovamus.

3. Et hac nostra in perpetuum valitura constitutione, statuimus, et decernimus, quod omnes medici cum ad infirmes in lecto jacentes vocati fuerint, ipso ante omnia moneant, ut idoneo confessori omnia peccata sua juxta ritum S.R.E. confiteantur, neque tertio die ulterius eos visitent, nisi longius tempus infirmo confessor ob aliquam rationabilem causam, super quo ejus conscientiam oneramus, concesserit et eis per fidem confessoris in scriptis factam constiterit, quod infirmi ut praemittitur peccata sua confessi fuerint.
4. Conjunctos vero, ас omnes familiares et domesticos infirmi in Domino rogamus et monemus ut de infirmitate parochum certiorem faciant, ac tam parochus quam conjuncti, et familiares praefati infirmum ad confessionem peccatorum suadeant et inducant.

5. Quod si qui medicorum praemissa non observaverint, ultra poenas in dicta constitutione contentas quas incurrere declaramus perpetuo sint infames, et gradu medicinae, quo insigniti erant, omnino priventur et a collegio seu universitate medicorum ejiciantur, ac poena etiam pecuniaria arbitrio Ordinariorum, ubi deliquerint mulctentur.
6. Et ut haec omnia inviolabiliter observentur, volumus, et eadem auctoritate praecipimus, et mandamus, ut nullus posthac ubique locorum, in medicina doctoretur, aut ei quomodolibet medendi facultas a quovis collegio, et universitate concedatur, nisi omnia in praesenti nostra constitutione contenta, medio eorum juramento coram notario publico, et testibus observare in eorum manibus, vel Ordinarii juraverint, et de hujusmodi juramento in privilegio, seu licentia medendi specialis mentio fiat. Quod si collegia et universitates praefatae non recepto a promovendis juramento hujusmodi eosdem ad gradum praedictum promoverint, aut eisdem medendi licentiam praestiterint, poenam privationis facultatis alios ulterius doctorandi incurrant.

7. Mandantes in virtute sanctae obedientiae omnibus, et singulis venerabilibus fratribus, patriarchis, primatibus, archiepiscopis, et episcopis, quatenus in civitatibus, et dioecesibus propriis praesentes nostras literas publicari faciant, ас juramentum praedictum a medicis jam promotis seu licentiam medendi habentibus, omnibus juris remediis exigant, neque aliquos ad medendum in civitatibus et dioecesibus praedictis admittant, nisi eis constiterit eosdem juramentum hujusmodi praestitisse et contumaces, et jurare ас juramentum hujusmodi jam praestitum exhibere recusantes, gradu medicinae, et omnibus privilegiis eisdem medicis, tam conjunctim quam divisim eis et eorum cuilibet concessis per quosvis etiam Romanos Pontifices privent, ac ab ingressu Ecclesiae arceant donec resipuerint.

8. Non obstantibus praemissis privilegiis, indultis, literis apostolicis, quibusvis personis collegio et universitati, sub quibusvis verborum formis et tenoribus concessis, quae omnia, quoad effectum validitatis constitutionis nostrae tantum, revocamus, cassamus et annullamus, et omnes principes saeculares ас alios dominos, et magistratus temporales rogamus, requirimus, et obsecramus per viscera miserieordiae Jesu Christi eisdem in remissionem peccatorum nihilominus injungentes, quod in praemissis omnibus, eisdem patriarchis, primatibus, archiepiscopis et episcopis assistant et suum favorem, et auxilium praestent ac contrafacientes poenis etiam temporalibus afficiant.
9. Volumus autem quod praesentes literae in cancellaria et acie Campi Florae publicentur et inter constitutiones extravagantes perpetuo valituras conscribantur.
10. Et quia difficile foret praesentes ad singula quaeque loca deferri, volumus, et etiam declaramus, quod earum transumptis, etiam impressis, manu alicujus notarii subscriptis, ас sigillo alicujus praelati munitis, eadem prorsus fides ubicumque adhibeatur, quae praesentibus adhiberetur, si forent exhibitae vel ostensae. 
 

Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris die VIII martii MDLXVI - Pontificatus nostri anno primo. 
  (c) Concilio Lateranense IV, Capitolo XXII: "col presente decreto pertanto stabiliamo e comandiamo severamente ai medici dei corpi che quando sono chiamati presso gli infermi, prima di tutto li ammoniscano e li inducano a chiamare i medici delle anime....I medici che trasgrediscono questa nostra costituzione, dopo la sua pubblicazione da parte delle autorità ecclesiastiche locali, sia loro proibito l'ingresso in chiesa fino a quando non abbiano soddisfatto nel debito modo per questa trasgressione".

  (d) Scrive Giovanni Romeo: "Inasprendo sensibilmente una disposizione del Concilio Lateranense IV e generalizzando la normativa adottata da Paolo III nel 1543, su sollecitazione di Ignazio di Loyola, per la sola città di Roma, la sua Costituzione Super gregem dominicum, emanata poco dopo l'ascesa al soglio pontificio, regolamentava con rigore inaudito la confessione dei malati a rischio. Se essi erano restii a confessarsi, i medici erano costretti a sospendere le cure, sotto pena di scomunica riservata al papa, di espulsione dall'Ordine e di una multa. Alla terza visita, bisognava esibire l'attestato del confessore. Chi non era in grado di dimostrare l'adempimento di quell'obbligo era di fatto abbandonato al suo destino, come gli eretici impenitenti e i condannati a morte ostinati." Giovanni Romeo, Ricerche su confessione dei peccati e Inquisizione nell’Italia del cinquecento. La Città del Sole, Napoli 1997, pp. 107-114. Cfr. anche G. Martina, La Chiesa nell'età dell'Assolutismo, del Liberalismo, del Totalitarismo. Brescia 1974, pp. 217-9.

  e) Cfr. Gaetano Moroni (aiutante di Camera di S.S. Pio IX), Dizionario di erudizione Storico Ecclesiastica, vol. XLIV, Venezia 1847, pag. 110 : "L’interdizione ai medici di visitare e curare i malati che non si fossero confessati entro il terzo giorno, fu successivamente confermata da Gregorio XIII il 30 marzo 1581, poi da Innocenzo XI, quindi rinnovata da Benedetto XIII nel Concilio Romano del 1725 e infine da Pio VI, che l’accrebbe di ulteriori pene nei confronti dei medici che mostravano reticenze nell’applicazione di questa norma pontificia." 

(f) -Cfr. Guido Dall’Olio, Eretici ed inquisitori nella Bologna del ‘500, ISB, 1999.
 
(g) -Il nome di famiglia è riportato come risulta nell’abiura predisposta dall’Inquisitore, altrove è indicato come Busbrach o Busbiach o Bisbiach.

(h) -All’epoca gl’Inquisitori, spesso solo superficialmente istruiti sulle realtà e le dottrine della Riforma, erano portati, genericamente, ad utilizzare il termine luterano quale sinonimo di eretico. Se dobbiamo, però, prestar fede e analizzare le dottrine espresse nell’Abiura predisposta dall’Inquisitore, la nostra vittima non è certamente né luterana né calvinista, appare invece come un cristiano “anabattista”. La dottrina “Che Christo Signor Nostro non sia nato della Vergine San­tissima ma solamente in Spirito Santo et che forse questa Ver­gine non fosse mai stata al Mondo” esprime un tentativo piuttosto grossolano dell’Inquisitore, di comprendere e definire la dottrina della “carne celeste” di Gesù, tipica delle prime comunità anabattiste-mennonite, presenti in buon numero proprio nei territori da cui proviene la nostra vittima. Anche il preteso errore “Che gli Apostoli et Evangelisti non fossero stati illustrati (per illuminati) dallo Spirito Santo nel scrivere le sacre e divine Scritture” evidenzia l’estrema difficoltà, da parte dell’Inquisitore, di capire (tanto da stravolgerne il significato) l’atteggiamento tenuto dalle comunità bibliche anabattiste in merito alla necessità dell’illuminazione dello Spirito Santo, che si riteneva, e si ritiene, indispensabile per rendere la Scrittura, sia che venga predicata, che ascoltata, che letta, efficace "Parola di Dio", così da poterla cogliere, comprendere e interpretare rendendola "Parola di Dio vivente".
 
(i) -Ne è esempio la preoccupazione di voler attribuire al condannato una Comunione mai avvenuta.

(l) -L'auto da fè voleva celebrare, con il massimo splendore, il trionfo e la potenza della Chiesa e dell'Inquisizione. Un’ottima e dettagliata descrizione, patrocinata dalla stessa Inquisizione, di un Atto pubblico di fede si può trovare in http://www.liberliber.it/libri/m/mongitore/index.php 

(m) -Gli eretici ricaduti nell'eresia (relapsi), condannati ad essere arsi vivi, potevano ottenere la “grazia” di essere precedentemente strangolati se, in extremis, avessero fatto atto di sottomissione alla Chiesa…!

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