28.2.15

Scrittura e Spirito



SCRITTURA E SPIRITO



  Per gli anabattisti la Sacra Scrittura rappresentava l’unica autorità di fede e di disciplina della chiesa. Tuttavia la Sacra Scrittura doveva essere interpretata: chi era abilitato ad interpretarla ?  
  Se per i cattolici era il Papa e per i riformatori erano i teologi, molti cristiani si affidano, attualmente, agli Organi Direttivi della loro Denominazione che opera e comunica attraverso i responsabili delle comunità. 
 
  Gli anabattisti hanno invece ritenuto, e ritengono, che i migliori interpreti della Sacra Scrittura sono i credenti che hanno ricevuto lo Spirito di Dio: Ora voi avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza”. (1Giov. 2:20). Ciò significa, concretamente, che un illetterato che ha ricevuto il dono dello Spirito interpreta la Parola di Dio meglio di un teologo che non ha lo Spirito. 
  Per gli anabattisti anche la propria Comunità, che per loro è la Chiesa del Signore, ha un ruolo fondamentale  nell'interpretazione, poiché essa svolge un compito di discernimento o di verifica. 
Questo ruolo consiste nell’esaminare, sia la lettera che lo spirito, nell’assemblea dei credenti: "i fratelli e le sorelle, dopo essersi raccolti in preghiera, leggano insieme la Scrittura e ne valutino l’interpretazione". E’ un principio di discernimento comunitario che pone un primo elemento di verifica nell’interpretazione della Scrittura e della profezia.
   Un secondo principio di discernimento o di verifica, inscindibile dal primo, è il criterio che qualsiasi indicazione o affermazione d’ordine spirituale deve essere verificata alla luce della vita e della parola di Gesù Cristo, come ci viene presentata dalla Scrittura.
 
Per gli anabattisti è quindi corretto affermare che “Scrittura e Spirito, insieme” piuttosto che il “sola Scrittura” sono la norma del discepolo di Gesù.
Scrittura e Spirito” è un principio fondamentale ed irrinunciabile perché apre a tutti i discepoli, l’interpretazione della Parola di Dio, sia alle persone istruite come a quelle che non lo sono, alle donne come agli uomini. Le autorità ecclesiastiche considerano tutto questo politicamente dannoso e teologicamente irresponsabile. Ma è certo che comprendere o discernere la volontà del Padre è compito di tutti i credenti.

 
In quest'ottica, e per meglio percepire la visione anabattista, desideriamo presentare un breve brano di Eduard Schweizer, noto e apprezzato esegeta, estratto dal suo pregevole volume "Introduzione teologica al Nuovo Testamento", (Brescia, Paidea, 1992)

La formazione del Nuovo Testamento

32.1. Né canone né antichissima tradizione come garanzia della verità.
In un processo alquanto lungo sono stati dichiarati canonici gli scritti che oggi sono contenuti nel Nuovo Testamento, alcuni dei quali (Ebr., Gd., 2 Pt., 2/3 Gv.) rimasero controversi fin nel v secolo, l'Apocalisse fin nel x secolo. Viceversa occasionalmente apparvero nel canone la lettera di Barnaba e il Pastore di Erma. I limiti del canone sono quindi rimasti per lungo tempo poco chiari e ci si potrebbe chiedere se il vangelo di Tommaso o la prima lettera di Clemente non potrebbero rientrarvi con maggior diritto della lettera di Giuda. Ciò non toglie che nel complesso si tratti di scritti che si sono imposti, vale a dire che la comunità abbia sempre percepito in essi la parola del suo Dio, il messaggio di cui essa viveva.
Sul piano teologico occorre prendere posizione nei confronti di due punti di vista estremi: 1. ciò non significa che il «prodotto finale», il canone in quanto tale, rappresenti una garanzia a disposizione della chiesa. Essa deve continuamente decidere ad es. se leggere criticamente le lettere pastorali alla luce di Paolo, il vangelo di Giovanni sulla base degli altri tre. Deve decidere di volta in volta, secondo la situazione, dove deve mettere l'accento; deve continuamente domandarsi fino a che punto gli scritti più tardi costituiscono uno svolgimento che porta chiarezza e progresso, fino a che punto non contengono più affermazioni essenziali di scritti precedenti, ma forse intenzionalmente le presuppongono, e quindi possono essere letti soltanto unitamente ad essi. 2. viceversa ciò non significa che sia determinante la testimonianza più antica ancora raggiungibile. Certamente si può e si deve, movendo dai vangeli attuali, interrogarsi sulla tradizione pre-evangelica, per esempio su Q o, partendo dalle lettere di Paolo, sulle formule di fede e sugli inni in esse citati. Ma non è affatto detto che ciò che è avvenuto in Gesù Cristo non sia stato compreso in modo più chiaro ed evidente dall'esteso messaggio di Marco o della lettera ai Romani che non dalla tradizione che vi sta alla base.       
32.2 Canone orientato al passato, al presente e al futuro 
La chiesa in cui il canone neotestamentario è sorto ed è stato riconosciuto, sa che il messaggio di cui essa vive è chiaramente ancorato alla storia di Gesù di Nazaret. Certe prime formule di fede e certi inni hanno segnalato, già allo stadio orale, come avvenimenti essenziali, l'incarnazione o la nascita, la crocifissione e la risurrezione con le apparizioni ai discepoli. Le prime raccolte hanno inserito detti e atti di Gesù nella sua vita. La chiesa ha così accolto nel canone i vangeli come testimonianze che rimandano a quel tempo, al passato, che tuttavia continua a vivere. Al tempo stesso sapeva che Dio è un Dio vivente, quindi un Dio che prende sul serio gli uomini, le loro necessità, i loro problemi, pericoli e le loro possibilità, doti e prestazioni. Perciò il vangelo non si può ridurre ad una informazione definitiva su fatti storici, anche se si affermasse che questi continuano naturalmente ad avere un effetto come tutti gli eventi importanti della storia. E nemmeno lo si può ridurre ad un insegnamento di Gesù fissato una volta per tutte, anche se si dicesse che questo deve naturalmente essere sempre applicato ai nuovi problemi. Gesù ha vissuto una vita che con la sua inaspettata e imprevedibile fine si sottrae ad ogni definitivo superamento e ha parlato in parabole che non si possono ridurre a frasi che le riassumano e che definiscano in modo decisivo il loro significato. La chiesa ha perciò accolto nel canone le lettere degli apostoli e dei loro discepoli, che intervengono sempre di nuovo in ciascuna specifica situazione, come testimonianza del significato attuale del vangelo. Tuttavia essa non ha dimenticato che il vangelo non si può di volta in volta ridurre ad un ascolto e ad uno stimolo che, per effetto della parola, degli atti e del destino di Gesù, ricreano l'uomo nel suo tempo e nella sua situazione. Dio non agisce soltanto nelle singole anime e solo indirettamente per mezzo di esse.
Le parole e le parabole di Gesù riguardanti la signoria di Dio e del Figlio dell'uomo parlano anche del Dio che edifica il suo regno e del futuro compimento. Apocalissi come quella di Mc.I3, il grido «Maranatha» delle prime liturgie e parti di lettere come 1Cor.15 attestano questa attesa, spesso ardente, del finale intervento di Dio. Per questo la chiesa ha accolto nel canone anche l'Apocalisse di Giovanni come testimonianza, accennante al futuro, dell'azione conclusiva di Dio, perché l'azione divina crea la storia e non si limita a toccare e a muovere singoli uomini nel loro presente. Ovviamente questa ripartizione del canone è giusta soltanto se si considera una determinata accentuazione. Nei vangeli come nelle lettere e nell'Apocalisse si parla sempre del Gesù Cristo vivente che abbraccia costantemente passato, presente e futuro ed è «l'alfa e l'omega, il primo e l’ultimo, l'inizio e la fine» (Apoc. 22,I3).

32.3. L'autorità relativa del canone.
Ciò implica due cose 1). La comunità si è andata sviluppando sulla base del suo inizio. In questo processo tutte le testimonianze del Nuovo Testamento sono state stese in un preciso stadio di questo cammino, di fronte a determinati pericoli, con precisi ricordi e speranze. La situazione sociale dello scrittore e dei lettori a cui si rivolge ha sempre parte nella formulazione. Perciò è necessario che anche il messaggio si evolva. Al riguardo si può fare una distinzione tra documenti che sono fortemente caratterizzati dalla loro situazione e dal fronte contro il quale combattono, com'è il caso, a mio avviso, della lettera di Giacomo, e altri documenti che cercano di formulare in modo più centrale il messaggio valido in ogni luogo e in ogni tempo, com'è il caso, a mio avviso, della lettera ai Romani; ma del tutto immutato permane il principio che dev'essere sempre ascoltato il Cristo che vive oggi e parla alla comunità di oggi. – 2). Tuttavia la chiesa non lo ha semplicemente ascoltato nei detti dei profeti incessantemente pronunciati, ma ha sottoposto tutta la loro predicazione alla norma degli scritti neotestamentari. Come il messaggio deve essere sempre di nuovo formulato, così anche la nuova formulazione va sempre adeguata alle esperienze fondamentali della chiesa con Gesù com'esse sono raccolte nel Nuovo Testamento in testimonianze prepasquali e postpasquali. Fino ad oggi formule nuove possono, almeno per un tempo e una situazione determinati, formulare il messaggio in modo più chiaro dei primi enunciati del tempo neotestamentario, persino delle parole di Gesù stesso, ma si deve sempre ricercare criticamente se esse s'attengano sostanzialmente a ciò che quelle attestano. Come Dio rimane un Dio vivente che continuamente rinnova il suo incontro con noi, così egli resta sempre fedele a se stesso e non sarà né oggi né domani l'opposto di quel che era ieri. Perciò l'ancoraggio alla vita morte e risurrezione di Gesù, che è attestato anche nelle prime formulazioni della predicazione postpasquale e che avrà il suo compimento nel definitivo atto con cui Dio creerà una nuova terra sotto un nuovo cielo, preserva il Nuovo Testamento dal perdere i suoi contorni storici e dall'essere ridotto ad un avvenimento psichico all'interno dell'uomo.

32-4. Delimitazione nei confronti del «protocattolicesimo»
Col primo punto è tracciata una linea di confine nei confronti di una concezione «protocattolica», secondo la quale la chiesa deve di volta in volta stabilire d'autorità ciò che ora significa il canone inteso solo come fondamento. Ma non è da sostenere l'argomentazione secondo cui l'accettazione del canone neotestamentario esige poi anche l'accettazione della struttura ufficiale della chiesa, fissata all'incirca allo stesso tempo e costituita da vescovi-presbiteri-diaconi, e garantisce così l'ordinamento valido per sempre. In primo luogo, infatti, il canone non è veramente sacrosanto, bensì vivo, ed è anche una voce da riascoltare sempre criticamente, all'interno della cui molteplicità sono possibili varie accentuazioni. Ma poi la chiesa alla fine del II secolo non ha certo definito canonici gli scritti di quel tempo, bensì le testimonianze del I secolo, delle quali soltanto poche possono ancora giungere fino all'inizio del II secolo. Del tutto critica nei confronti di scritti contemporanei, essa si è dunque basata sulle testimonianze esistenti già da un secolo, con la volontà di lasciarsi da esse interrogare e trasformare. Essa non ha definito canoniche né la prima lettera di Clemente né le lettere di Ignazio, nelle quali il suo ordinamento fu descritto e definito come esemplare. In compenso ha, per esempio, accolto anche le lettere di Giovanni e i vangeli, che non sanno quasi nulla di questo ordinamento, e le notizie riguardanti l'attività di profeti del primo cristianesimo. Ciò è tanto più degno di nota per il fatto che proprio poco prima e poco dopo il 200 un'ondata di ecclesialismo carismatico e profetico con corrispondente predicazione e attività terapeutica si propagò ad opera dei montanisti e per la chiesa divenne pericolosa. Ciò nonostante la chiesa ha sperimentato solo nella ricchezza degli scritti neotestamentari la forza salvica di Dio e si è lasciata anche criticamente determinare da essi. Perciò non ha aspirato ad una raccolta di enunciati il più possibile uniformi, ma ha considerato come essenziale per il suo futuro tutta la molteplicità del messaggio. Ha quindi tenuto conto del sempre possibile insorgere di alternative (v. sopra, 30.5), per quanto proprio nel confronto coi montanisti sia apparso chiaro che la chiesa a lungo andare non può vivere senza un preciso ordinamento.

32.5. Delimitazione nei confronti della gnosi. 
Il secondo punto definisce anche il limite nei confronti di una concezione «gnostica» per la quale soltanto le parole del Cristo ancor sempre vivente (spirituale) e i miracoli che continuano ad avvenire costituiscono un' autorità, non più il Gesù Cristo collocato nella storia; detto in termini moderni: soltanto la dottrina di salvezza oggi annunciata nello Spirito di Gesù e la condotta di vita attuata, che richiede soltanto un tenue aggancio al Gesù di Nazaret attestato nel Nuovo Testamento e al Risorto apparso ai discepoli. Apertura e limiti sono quindi in stretta connessione sia nel Nuovo Testamento sia nella vita della chiesa. Soltanto quando la parola in piena apertura a nuove domande e risposte e a nuovi pericoli di pregiudizi si rivolge veramente alla realtà di volta in volta attuale, è la viva parola di Dio; ma lo è anche quando, in una chiara presa di posizione basata su ciò che è avvenuto in Gesù Cristo, respinge false domande, false risposte e pregiudizi.

32.6. Canone (e dogma) come "guardrail"
Forse lo si può dire con un'immagine: lungo un'autostrada vi sono barriere laterali e linee marginali. Esse continuano per chilometri e chilometri, non sono quindi semplicemente le stesse che si sono incontrate all'inizio, ma, nonostante tutte le curve, formano una linea continua. La loro funzione consiste nel preservare il guidatore dal rischio mortale di sbandare sulla corsia opposta o dall'uscire di strada. Chi per essere sicuro si volesse fermare ai primi tre metri per non andare al di là del guardrail o delle linee, non arriverebbe mai in nessun posto, e chi li scambiasse con la carreggiata stessa e volesse viaggiare su di essi sarebbe probabilmente molto presto perduto. Egli deve decidere come vuoI viaggiare nello spazio libero della strada, se vuol seguire qualcuno e frenare, oppure allargare a sinistra, accelerare e sorpassare ecc. Allo stesso modo determinati enunciati del Nuovo Testamento e della chiesa devono sempre, in forma continua e tuttavia mutevole, segnare i limiti che non possono essere oltrepassati. Ma ciò che è fede, non va scambiato con essi. Né il rimanervi attaccati né il viaggiarvi sopra è possibile e utile. La fede deve cercarsi la propria strada nello spazio libero tra questi limiti, spazio che è molto più ampio di un'autostrada anche a quattro corsie. Così il Nuovo Testamento con la sua unione incondizionata a Gesù di Nazaret e alla sua risurrezione, con la sua seria accettazione del messaggio postpasquale e il suo chiaro orientamento al definitivo atto creatore di Dio, delimita la strada, e proprio con questo dà alla comunità di tutti i tempi e di tutti i paesi la libertà di proseguire il suo proprio cammino.
- Tratto da: Eduard Schweizer, Introduzione teologica al Nuovo Testamento. Brescia, Paidea, 1992

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