25.2.14

L'anabattismo veneto nel XVI secolo



L’Anabattismo nella Repubblica di Venezia


L’anabattismo entra in terra veneta quasi contemporaneamente alla sua nascita, portato da commercianti e viaggiatori provenienti sia dal Tirolo attraverso la Val Sugana sia dai Grigioni. Ben presto si formano Comunità anabattiste a Gardone, Verona, Vicenza, Bassano, Cittadella, Padova, Asolo, Treviso, Cinto Caomaggiore, nonché piccoli o piccolissimi gruppi in molte altre località. I convertiti praticano i principi anabattisti originali espressi dal Fraterno Accordo di Schleitheim del 1527. Sono cristocentrici, biblisti, rivendicano la separazione tra lo Stato e la Chiesa, vedono nella comunità l’unica autorità ecclesiale, sono non violenti e non resistenti, rifiutano cariche nelle magistrature (cioè in ambito politico o giudiziario), non giurano e praticano con sensibilità la solidarietà.

Ma intorno al 1550 alcuni antitrinitari giungono a Padova e qui sono  attratti dall’ anabattismo. E’ un incontro-scontro. Ecco il racconto di quanto accadde, fatto di fronte al Sant’Uffizio dell’Inquisizione nel 1553, dal napoletano Giovanni Laureto, che su invito dell' antitrinitario Girolamo Busale si era trasferito con lui da Piacenza a Padova:

Stando qui in Padoa, in compagnia del ditto abbate (Gerolamo Busale) et studiando la lingua hebrea, vennero in quella città alcuni anabatisti tra li quali era uno chiamato Benedeto, credo che fosse da Axolo, et un altro Nicola credo che sia da Treviso, li quali si fecero conoscer da noi et ci scoprirno la loro dottrina anabatistica et fecero sì che ci persuasero a ribaptizarsi havendone insegnato che 'l baptesmo del papa non valea; et così il ditto Benedeto ribaptizò me, et quel Nicola rebaptizò l'abbate. Et per spacio de forsi 3 mesi si stette su questa pratica, et havendo pigliata una casa a S. Catherina li detti Benedeto et compagni per far riduti et congregationi ci reducevamo tuti in ditta casa et qui ragionavamo di questa doctrina anabatistica, et ogniun diceva quel che li pareva et tra nui erano di molti dispareri, ma nella doctrina lutherana tutti eravamo d' accordo insieme. Dapoi partito el ditto Benedeto, l' abbate fu electo vescovo et, perché lui era persona molto letterata et havea la lingua hebrea, esso havea il carico de leggere et de interpretare la Scrittura.

Testimonianza generica sulle divergenze dottrinarie, ma da ritenersi del tutto veritiera sulla successione dei fatti perché le notizie trovano conferma in diverse fonti storiche. Risulta, dunque, che si susseguirono discussioni per circa tre mesi e che, nel tentativo di conciliare l' anabattismo con le nuove idee antitrinitarie, sostenute dagli ospiti napoletani, si manifestarono «molti dispareri» pur concordando nel riconoscere la comune matrice nella Riforma.

Alla fine, tuttavia, dev’essere stato accolto in qualche misura l'antitrinitarismo di Girolamo Busale, che fu nominato ministro della comunità anabattistica padovana probabilmente su impulso di Benedetto d’Asolo. Infatti questo anabattista veneto, ministro della Comunità di Asolo, da allora iniziò a predicare le nuove idee antitrinitarie suscitando non pochi e gravi contrasti fra i vecchi compagni di fede. Il primo a mostrarsene scandalizzato, tanto da proporre la scomunica di Benedetto d’Asolo, fu il ministro della chiesa anabattista di Cittadella, Agostino Tealdo (poi morto martire), come testimoniarono molti, più tardi, negli interrogatori del Sant'Uffizio: « ... messer Agustin maestro da scuola ne disse che Benetto era cascato in una gran heresia che Christo non era nato de verginità de Maria, ma chel era fiol de Joseph et ne disse che non dovessemo parlar con lui».

Se ne discusse animatamente anche nella comunità di Vicenza ma soprattutto in diverse riunioni tenute a Padova, con l'intervento di anabattisti e di antitrinitari non ancora d'accordo in un unico indirizzo dottrinale.
Siccome il dissidio minacciava di compromettere irrimediabilmente l’organizzazione unitaria, ormai ben avviata, delle comunità anabattiste italiane disseminate dalla Valtellina all’Adriatico e all’Appennino tosco-emiliano, alla fine si cercò di convocare a Venezia per l’autunno del 1550, un Sinodo di rappresentanti o delegati per superare ogni divergenza, ovvero far prevalere la “dottrina” sancita dalla maggioranza.
Il Sinodo, organizzato da Benedetto d’Asolo, fu un mezzo insuccesso. Parteciparono in tutto tredici anabattisti, e dei quali conosciamo i nomi,  in rappresentanza delle comunità di Asolo, Vicenza e Treviso.
Non parteciparono né la comunità di Cittadella, fermamente contraria a queste novità dottrinali, né quelle assai numerose di Gardone e di Cinto, né rappresentanze dei gruppi piccoli o meno piccoli sparsi in tutto il veneto. Furono completamente assenti anche i rappresentanti delle comunità anabattiste tosco-emiliane.
E’ da notare l’assenza al Sinodo di Gerolamo Busale, di suo fratello Bruno e del Laureto (i propagatori delle idee antitrinitarie) a dimostrazione che proprio le loro idee estranee ai principi originari del movimento erano il motivo del disaccordo dottrinale tra gli anabattisti.
La riunione di Venezia si ridusse, in effetti, ad affrontare solo il problema che era connesso alle novità introdotte dal Busale nella comunità di Padova e che per tale motivo si era spaccata in due, coinvolgendo nel problema anche le comunità ad essa collegate di Vicenza, Treviso e, particolarmente di Asolo, guidata dal notaio Benedetto Del Borgo, proprio colui che aveva accolto il Busale assimilandone poi le idee. Tutte le altre comunità e i numerosi anabattisti sparsi nel territorio veneto non presero nemmeno in considerazione novità che giudicavano andassero contro i principi dell’anabattismo.
Ogni problema comunque viene ben presto a svanire a causa della tragica persecuzione inquisitoriale.  Essa inizia ai primi di febbraio del 1551 con l'arresto a Rovigo di Benedetto d’Asolo che dopo tre mesi subirà il martirio con il taglio della testa e il rogo. Contestualmente Girolamo Busale, sentendosi in pericolo, il 17 febbraio 1551 si allontana da Padova  dirigendosi verso Napoli. La comunità di Padova si disgrega rapidamente e cessa di esistere. Anche quel poco di antitrinitarismo che fra tanti contrasti si è insinuato si estingue. Le persecuzioni poi, a causa della delazione del prete Pietro Manelfi, continuano su larga scala in tutto il nord e centro Italia con dispiego di grandi mezzi.
Per gli anabattisti sarà l’inizio della ricerca di salvezza attraverso la fuga o l’esodo verso le terre dei fratelli Hutteriti in Moravia. Gran parte degli abitanti friulani di Cinto, che erano anabattisti, emigrano progressivamente verso queste comunità fraterne mentre altri cercheranno di raggiungerle da ogni parte del Veneto. In questo esodo saranno assistiti  e aiutati da altri fratelli veneti che faranno da guida ai singoli o ai gruppi per poi ritornare ad organizzare nuovi esodi.
Fu proprio in una di queste missioni che vennero catturati Francesco della Sega, Giulio Gherlandi e Antonio Rizzetto.
Purtroppo il loro arresto consentì all’Inquisizione di venire in possesso degli elenchi, con un centinaio di indirizzi e nomi degli anabattisti che essi avrebbero dovuto contattare direttamente o indirettamente. Sono due elenchi che ci consentono di conoscere, anche se parzialmente, quanto fosse diffuso l’anabattismo in terra veneta. Dall’Istria al Friuli, da Venezia a Feltre, da Pordenone a Treviso, da Vicenza a Mantova, da Padova a Ferrara, da Verona a Brescia e Bergamo, nei paesi e nei borghi più sperduti…
E sarà proprio Francesco della Sega, uno dei partecipanti al Sinodo, che dopo aver compreso il contrasto tra anabattismo e antitrinitarismo, testimonierà  con vigore i valori anabattisti nella sua coraggiosa lettera memoriale indirizzata ai Principi prima di essere condannato dall'Inquisizione ad essere annegato nella laguna. 

*  *  *  *  
  
Ma l’ anabattismo veneto non si estinguerà facilmente.

Ancora a distanza di oltre venticinque anni dall'inizio della persecuzione, nel 1577, verrà istruito un processo inquisitoriale contro alcuni abitanti di Mussolente, piccolo paese nel vicentino, accusati di essere “luterani”. Un termine generico utilizzato dagli inquisitori per definire qualsiasi aderente alla Riforma. 
Come si può rilevare dagli atti processuali, gli imputati erano in realtà anabattisti:

Le risposte dell'imputato Paris (Paride) Follador :
“Interrogato circa el battesimo, che opinion habbi havuto ! ”risponde“ L’ho havuto opinion, che il battesimo sia buono; ma però el non vaglia cosa alcuna alli fantolini, che si batteggiano, fino che non sono in età, che habbino il creder, et che i se debba tratener de battezarli fino alli 14 anni”. Disse ancora interrogato Cho creduto, che li fantolini, se ben murino senza battesimo, si salvino”

poi ribadite: 
“Da Nadal in qua dappoi che cominciassemo à pratechar insieme Benetto et io et per quel legger quella epistola che vi ho ditto quasi ogni giorno”. Soggiunse “Havevamo anche concluso, insieme Benetto et io, di andar doppo la Pasqua dei ovi in terra de lutheranni, e star la, et farsi battizzar unaltra volta”. “Interrogato da chi habbi imparato questa opinion de battizzarsi unaltra volta!” risponde “Havevamo pensato cosi da noi, perche l’havevamo intesto questo”. Gli fu detto “Da chi hai inteso questo!” rispose L’ho inteso da uno, che ha nome Iseppo tentor de quei de sotto, che sta à Bassan, et che è stato in quei paesi per. 6. mesi à schoder no so che danari. Et l’ho chel sia homo da ben”. 

e ancora:
c. 93 v. “Interrogato se in Mussolente, ò in Bassan, ò altri luochi, el sa, che vi si alcun, che habbi cativa opinion nella fede!”. Risponde “Io ho inteso, che un prè Giulio Baio dalla Rosà è stato sospetto”.
15 ad XV. am circa il battesimo! Risponde Io l’ho imparato da quel da Bassan, come ho ditto nel mio primo constituto, perchè el diceva, che in terra de lutheranni se battizza unaltra volta”.
16 ad XVI. am risponde “Mio padre m’ha ditto, che li fantolini non hanno il creder, et però bisogna aspettar a battezzarli al tempo delli 14 anni”.
17 ad XVII. am rispondeQuanta alli fantolini, che si salvino senza battesimo, mio padre diceva raggionando di questa cosa, chi sa che no si salvino andando in paradiso, et non al limbo!”.

Le risposte di un altro imputato, Benedetto Brenzio:
“Interrogato se l’è stato fatto accordo tra lui, et Paris de andar in terra de lutheranni!” risponde “Marco mio cugnato me disse, che Momin Cargnato li haveva detto, che faressemo ben Paris, et io andar in terra de lutheranni a veder un puoco, come si governano: et così parlando con Paris de questo mettessemo ordene tra noi d’andarvi, ma non me riccorda a che tempo. Et Paris me diceva, che se vi fossemo andati, saressemo stati batizzati de nuovo;




Roberto Derossi 














 
 


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