26.11.13

Ugo Gastaldi - I movimenti di risveglio nel mondo protestante




Si discute oggi del grande successo che il movimento evangelico pentecostale ha ottenuto in ogni parte del mondo. L'esempio più eclatante è il caso Brasile dove nel solo ultimo decennio (2000-2010) ben 12 milioni di cattolici hanno lasciato la loro chiesa per le Comunità Pentecostali o Evangeliche.
Ugo Gastaldi nel suo libro "I movimenti di risveglio nel mondo protestante. Dal Great Awakening (1720) ai revivals del nostro secolo" (Claudiana, Torino 1989) presentava la storia di un fenomeno particolare che aveva lasciato la sua impronta nel protestantesimo mondiale degli ultimi due secoli.
Capire cosa fosse stato il Risveglio, quali fini si proponeva, quali effetti ha avuto ed ha nel nostro tempo e nei vari contesti, è una condizione essenziale per capire il mondo evangelico odierno e, in particolare, quel movimento carismatico oggi in piena espansione nel cristianesimo mondiale. Il libro che ben evidenzia le basi da cui è partito un rinnovamento ecclesiale che ancora oggi induce il cristianesimo ad una non comune vitalità, è di stimolo per ogni comunità e chiesa a ritrovare l'essenziale valore della testimonianza della propria fede in Cristo.

 

  

27/11/2007 - 27/11/2015

OTTAVO ANNIVERSARIO DELLA SUA SCOMPARSA



 

" I movimenti di risveglio nel mondo protestante "


 

 INTRODUZIONE


Con un termine comune, quello di «risvegli», è di uso corrente indicare quei movimenti di rinnovamento che nei secoli XVIII e XIX percorsero il mondo protestante. Un uso giustificato, dal mo­mento che questi movimenti costituiscono un fenomeno dotato di una fondamentale unità, pur assumendo essi caratteristiche diver­se da paese a paese, diversi essendo i contesti storici in cui si in­quadrano. È significativo del resto che nelle varie lingue dei paesi in cui si sono avuti «risvegli» si siano usati, per designarli, dei ter­mini di equivalente significato, come Awakening e Revival in In­ghilterra e negli Stati Uniti, Erweckung in Germania, Réveil in Sviz­zera, Francia e Olanda. V'è chi tuttavia preferisce limitare l'uso del termine «risveglio» ai movimenti che si ebbero in Europa nel secolo XIX.
L'orizzonte geografico dei movimenti di risveglio coincide con la totalità del mondo protestante. Questi movimenti interessano in­nanzitutto i paesi in cui la Riforma del secolo XVI si è affermata, costituendo delle chiese nazionali che comprendono la maggioran­za della popolazione (Germania, Svizzera, Olanda, Inghilterra, Sco­zia, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia). Ma interessano an­che i paesi in cui è presente una minoranza protestante, sia essa cospicua, come accade in Francia con la Chiesa riformata, sia in­vece estremamente esigua, come è il caso dell'Italia con i valdesi delle valli piemontesi. I movimenti di risveglio hanno coinvolto in­fine anche i gruppi nati dalla dissidenza protestante del secolo XVII, come i congregazionalisti e i battisti.
Il periodo storico in cui questi movimenti possono essere com­presi è abbastanza ampio: essi fanno la loro comparsa nei primi decenni del secolo XVIII, raggiungono un massimo di estensione e di intensità nella prima metà del secolo XIX, prolungando si talvolta ed esaurendosi nella seconda metà di questo secolo.  

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Una costante dei movimenti di risveglio è la giustificazione che offrono di se stessi. Essi si legittimano sempre come una reazione alla situazione delle chiese, che viene giudicata come negativa ed inaccettabile. Il «risveglio» presuppone una condizione di «sonno» e si intende che essa riguardi i credenti all'interno delle chiese.
Si deve quindi prendere atto innanzitutto del fatto che questi movi menti si pongono sempre e comunque in un certo rapporto con le chiese, sia che operino all'interno o ai margini di esse, sia che se ne separino per svolgere autonomamente la loro azione. Non nascono da leaders isolati ed estranei alle chiese, ma quasi sempre da ministri regolarmente ordinati, sebbene il contributo che danno loro i laici sia particolarmente rilevante. In quanto alle dottrine propugnate, esse sono quelle tradizionali delle chiese, dandosi raramente il caso che da esse ci si discosti.

Di fronte alle chiese i movimenti di risveglio si pongono in un atteggiamento critico che può essere compendiato in due punti fondamentali:  
l) Si ritiene che nelle chiese non ci sia vita, ma ristagno e torpore, perché deboli sono le convinzioni e scarso il fervore dei membri di chiesa. Poiché le chiese nella maggior parte dei casi sono moltitudiniste, si dirà anche che esse si adeguano al basso livello spirituale della massa.  
2) Si afferma soprattutto che la predicazione si sia allontanata dai grandi temi della Bibbia ed abbia praticamente abbandonato il magistero dei grandi riformatori ed il dettato delle storiche Confessioni nate dalla Riforma. Si denuncia frequentemente il fatto che i ministri che reggono le chiese e specialmente i professori delle facoltà teologiche siano stati guadagnati alle idee della cultura dominante.  

Il presupposto dei risvegli sarebbe quindi una generale condizione di crisi delle chiese protestanti. Ciò che essi si prefiggono è riportare la fede ai solidi fondamenti della Bibbia, per la chiesa e con la chiesa finché possibile, senza la chiesa e con libertà d'iniziativa quando è necessario. V'è la ferma consapevolezza che la Parola di Dio debba stare al di sopra della chiesa. Si rende. quindi necessaria una messa a punto per quanto sommaria delle condizioni in cui effettivamente versava il protestantesimo alla vigilia e durante il decorso dei movimenti di risveglio, sia per una verifica delle loro pretese di legittimità, sia per aver presente il contesto ecclesiastico e culturale entro cui si muovono.

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Dopo la scomparsa dei riformatori le chiese nate dalla loro opera riformatrice entrarono in quel periodo che si suoI chiamare delle ortodossie, perché caratterizzato dalla preoccupazione di salvaguardare e difendere la dottrina ricevuta.
Nell'ambito del luteranesimo, dopo aspre controversie si era giunti con la Formula di Concordia (1577) a trovare un accordo sul canone dottrinale. Da quel momento e su quella base si sviluppò una copiosa letteratura teologica in cui venivano trattati puntualmente e meticolosamente tutti gli aspetti della dottrina. Molto si è detto della aridità di questa produzione, ma non sempre a ragione. Vi figurano anche teologi di notevole statura, come Leonhard Hiitter (1563-1616), autore di un Compendium locorum theologicorum (1610) e Johann Gerhard (1582-1637), autore di nove volumi di Loci theologici. va dimenticato che in questo periodo dal grembo del luteranesimo emersero figure notevoli come il mistico Johann Arndt (1555-1625), autore di Quattro libri sul vero cristianesimo, ed il poeta religioso Paul Gerhardt (1607-1676).
Le chiese di Stato luterane non dovevano essere prive del tutto di vitalità se esse riuscirono a fare del protestantesimo un elemento fondamentale ' della cultura e del costume sia in Germania che nei paesi scandinavi. D'altra parte è vero che in Germania la vita delle chiese risentì pesantemente, come ogni altro aspetto della vita del paese, delle conseguenze rovinose della guerra dei trent'anni (1618-1648).

Anche il calvinismo visse un suo travagliato periodo di consolidamento ortodosso della dottrina. Esso cominciò subito dopo la scomparsa di Calvino con il suo collega e successore all' Accademia di Ginevra, Teodoro di Beza (1519-1605), che difese strenuamente le dottrine fondamentali del calvinismo. Dopo la sua morte saranno i Paesi Bassi a diventare il baluardo dell'ortodossia calvinista, con quel Sinodo di Dordrecht (1618-19), che ribadiva nel modo più rigoroso e intransigente la dottrina della doppia predestinazione contro i seguaci di Jacopo Arminio (1560-1609). L'ultima importante espressione dell'ortodossia riformata vede la.luce a Ginevra con la Formula Consensus Ecclesiarum helveticarum reformatarum, più noto brevemente come Consensus helveticus (1675).
Anche per il calvinismo si deve riconoscere che quello dell'ortodossia fu tutt'altro che un periodo di decadenza. Le accese controversie che lo caratterizzano erano quasi sempre un connotato del fervore che animava non solo il mondo accademico, ma le stesse masse dei fedeli. E non si deve dimenticare che il calvinismo in quegli anni ebbe due punte vivacissime nel puritanesimo in Inghilterra e nel presbiterianesimo in Scozia.
Il puritanesimo non fu soltanto un movimento all'interno della Chiesa d'Inghilterra che mirava a promuovere una riforma di tipo calvinistico: esso divenne anche una interpretazione della vita cristiana che poneva l'accento sulla rigenerazione e santificazione del credente, e sulla stretta moralità della condotta. Strumenti della diffusione del puritanesimo erano la predicazione su temi strettamente biblici, l'istruzione religiosa nell'àmbito delle famiglie e l'incoraggiamento dato ad una seria pietà personale imperniata sulla meditazione della Sacra Scrittura e sulla preghiera.
Durante il periodo del protettorato di Oliviero Cromwell il movimento puritano diede luogo ad una effervescenza di gruppi che proponevano arditi progetti di riforma religiosa e sociale. Resta tuttavia il fatto che il puritanesimo fu un fenomeno minoritario anche se lasciò tracce profonde nella vita religiosa e civile dell'Inghilterra. La Restaurazione segnò l'inizio del suo rapido declino: con l'ascesa al trono di Carlo II Stuart (1660) la Chiesa d'Inghilterra riacquistò la sua posizione di chiesa di Stato e subì una svolta caratterizzata da una forte ccentuazione dogmatica e dall'intolleranza nei riguardi del non conformismo. Il calvinismo in Inghilterra sopravvisse nel congregazionalismo, sviluppatosi fin dall'inizio del secolo XVII al di fuori della chiesa costituita. Esso si attestò saldamente nelle colonie inglesi d'America. Una forma altrettanto rigida di calvinismo aveva avuto il sopravvento in Scozia con il presbiterianesimo, che però a motivo dei cambiamenti politici per cui passò il paese riuscì ad affermarsi definitivamente nella Chiesa di Scozia soltanto nel 1692.  

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Nella seconda metà del secolo XVII faceva la sua comparsa il pietismo, un movimento di rinnovamento che fu attivo nel mondo protestante per oltre un secolo sebbene non ovunque con la stessa intensità. Esso ebbe origine in Germania, in un paese che ancora risentiva profondamente dei danni materiali e spirituali provocati dalla guerra dei trent'anni. La Chiesa luterana, sino ad allora fermamente dominata dallo spirito della cosiddetta «ortodossia», sembrava impari al compito di andare incontro alle esigenze di un così difficile momento storico. Le preoccupazioni dell'ortodossia dottrinale e le conseguenti controversie confessionali, dopo trent'anni di rovinosi conflitti erano diventate inattuali e trovavano anzi un ambiente ostile. Il pietismo nacque dall'esigenza di una spiritualità più adeguata al bisogno di quei tempi. Il suo fondatore, Philipp Jakob Spener (1635-1705), era un uomo mosso soprattutto da preoccupazioni pastorali.
I suoi Pia desideria, comparsi nel 1675, prospettano la necessità di dare una risposta a sei esigenze fondamentali:

1) una maggiore diffusione e conoscenza delle Sacre Scritture
2) più interesse e spazio concessi all'elemento laico
3) onorare le virtù cristiane non meno della dottrina
4) rifuggire dall'animosità delle controversie
5) più interesse pastorale negli studenti di teologia
6) predicazione mirante al cambiamento dell'uomo.

Secondo Spener l'edificazione dei credenti avrebbe dovuto aver luogo in piccoli gruppi di zelanti (i collegia pietatis) che si riunivano al di fuori della chiesa, ma senza contrapporsi ad essa o trascurarne le attività. Spener fu anche il creatore di una facoltà di teologia presso l'Università di Halle, destinata a diventare un centro di diffusione del pietismo.
La seconda grande personalità del pietismo fu August Hermann Francke (1663-1727), al quale si deve l'organizzazione del movimento e la sua rapida espansione. Professore di lingue orientali prima (1692), poi di teologia (1698) nell'Università di Halle, egli si affermò sia nello studio scientifico della filologia che nella predicazione e cura d'anime. La vastità degli interessi ed il non comune talento organizzativo lo condussero ad applicarsi a molteplici attività pratiche, come la fondazione di un orfanotrofio e di scuole per il popolo, la creazione di un collegio per i ragazzi della nobiltà (il Poedagogiumi, la preparazione di giovani per le missioni oltremare.

Nella spiritualità dominante nell'ambiente pietistico di Halle e specialmente nel Poedagogium si dette una particolare importanza alla «conversione», intesa come una esperienza interiore caratterizzata da una intensa emozione, punto di artenza di una rigenerazione del credente.

Dalla Prussia il pietismo si diffuse nel restante della Germania e di qui passò in Olanda e nei paesi scandinavi, contribuendo non poco a preparare il terreno ai movimenti di risveglio, nei quali in misura notevole è evidente una componente pietistica.
Dopo la morte di Francke (1727) il pietismo entrò in una fase di involuzione e decadenza, allontanandosi dalla matrice luterana ed accogliendo motivi mistici, apocalittici e teosofici. Il centro della sua diffusione si spostò dalla Prussia al Wiirttemberg. Qui il pietismo riuscì a radicarsi profondamente nella borghesia e nei ceti popolari ed ebbe nondimeno esponenti in insigni studiosi e teologi come Johann Albrecht Bengel (1687-1752) e Friedrich Christoph Oetinger (1702-1782).
Bengel, che tra l'altro fu un'autorità nel campo della filologia del Nuovo  Testamento, va ricordato anche per il fatto che introdusse nel pietismo l'interesse per l'apocalittica. Rigorosamente biblicistica è la sua concezione del mondo e della storia: nell'unità della Sacra Scrittura si ha la rivelazione del senso e dei modi in cui negli eventi storici si sviluppa il piano provvidenziale di Dio per il cosmo e l'umanità. Oetinger accolse da Bengel la visione unitaria del processo che riconduce tutte le cose a Dio, integrando la con le influenze che ricevette da Jacob Boehme e Emmanuel Swedenborg: ne risultò una teosofia mistica che al carattere speculativo univa una ricchezza non comune di suggestioni pratiche.
Un altro notevole maestro di vita spirituale del tardo pietismo è Johann Heinrich Jung-Stilling (1740-1817), nel cui insegnamento si pongono due motivi diversi come l'unicidell'esperienza del singolo, la cui vita si svolge sotto l'azione della provvidenza, e l'appello profetico alla chiesa perché si prepari all'imminente incontro escatologico con il Cristo ritornante.
Una posizione a parte occupa nel pietismo un'altra sua notevole figura di leader, Nikolaus Ludwig, conte di Zinzendorf (1700-1760), al cui dinamismo si debbono nuovi sviluppi del movimento.
Nato a Dresda in una nobile famiglia di origine austriaca e rimasto orfano, egli venne affidato ad una nonna pietista che lo mandò a studiare nel Paedagogium di Halle (1710-16). Una svolta decisiva della sua esistenza si ebbe nel 1722, quando egli accolse nella sua proprietà di Berthelsdorf in Sassonia un gruppo di profughi boemi e moravi dell'Unitas Fratrum (hussiti radicali), che vi costituirono una comunità chiamata Herrnhut (protezione del Signore), destinata a diventare famosa. Nel 1727 lasciò l'ufficio governativo che ricopriva alla corte di Dresda per dedicarsi interamente ad una attività di leader religioso, caratterizzata dalla formazione di comunità di convertiti, dall'evangelizzazione su scala mondiale, da iniziative missionarie e relazioni ecumeniche. Nel 1736 venne espulso dalla Sassonia e si stabilì alla Wetterau, nell' Assia attuale, che divenne un altro centro della sua attività. Zinzendorf viaggiò molto visitando i maggiori paesi europei e le colonie inglesi d'America, e fondando ovunque comunità di seguaci, le più vive delle quali si dimostrarono quelle in Olanda e in Inghilterra. Da questa feconda attività proselitistica nacque un tipo di libera chiesa, quella dei Fratelli Moravi, ortodossa per il credo, ed orientata verso la missione e l'ecumenismo. Essa è fondata sull'esperienza della conversione e di intensi rapporti fraterni, e caratterizzata da una spiritualità in cui hanno un' grande peso la meditazione riverente della Sacra Scrittura e le espressioni emotive della fede. Il pietismo dei Fratelli Moravi ha avuto una influenza notevole sui movimenti di risveglio europei, specialmente ai loro inizi e riguardo ad alcune forme caratteristiche della loro attività.
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Nel corso dei secoli XVII e XVIII nel mondo protestante si facevano strada ed acquistavano peso anche orientamenti teologici di carattere razionalistico.
Questa evoluzione è particolarmente evidente nella storia ecclesiastica dell'Inghilterra ed è un aspetto della vivace reazione che in questo paese sollevarono le rigidezze dogmatiche del calvinismo.
Intorno alla metà del secolo XVII, mentre nel continente si affermava il razionalismo di Cartesio e di Spinoza, in Inghilterra fioriva la scuola filosofica dei cosiddetti «Platonici di Cambridge», un gruppo di teologi e filosofi che si distingueva per il proposito di conciliare fede e ragione.
Su questa via essi erano stati preceduti da Richard Hooker (c. 1554-1600), il più grande teologo anglicano dell'età elisabettiana, che in polemica con il puritanesimo aveva affermato che il cristianesimo si fonda non soltanto sull'autorità della Bibbia, ma anche su quella della ragione. I «Platonici di Cambridge» consideravano' la ragione umana una luce infusa da Dio, capace di illuminare gli uomini su verità essenziali, rispetto alle quali le verità rivelate costituivano un supplemento. Non meno fermi erano nel considerare una realtà incontrovertibile la libertà e la responsabilità morale dell'uomo. Essi si tenevano fuori dalle aspre controversie teologiche del loro tempo e si proponevano di offrire un esempio di seria ed equilibrata spiritualità. Specialmente dopo la guerra civile reagirono al dogmatismo dominante sotto varie forme e si batterono con passione per una maggiore tolleranza. Le figure più notevoli di questo gruppo sono Benjamin Whichcote (1609-1685), John Smith (1618-1652), Ralph Cudworth (1617-1688) ed Henry More (1614-1687).

Un gruppo affine ai «Platonici di Cambridge» è quello dei Latitudinari iLatitudinarians o anche Latitude Men), che durante i regni di Giacomo I e Carlo I costituirono un'ala moderata e tollerante della Chiesa anglicana, incline a contrapporre la ragione alI'autoritarismo in materia di 'dogma e di politica ecclesiastica.
Già alla fine del secolo XVII nella Chiesa d'Inghilterra erano state quasi totalmente emarginate le influenze del calvinismo e avevano guadagnato largo consenso le idee arminiane. Dottrine come la «total depravity» e la doppia predestinazione erano ormai consegnate al generale discredito.
Ma anche dove il calvinismo sopravvisse più a lungo, cioè nel presbiterianesimo scozzese, si andò incontro a una profonda crisi. Riguadagnato il controllo della Chiesa di Scozia, i presbiteriani imposero al paese un regime di severa osservanza della disciplina ecclesiastica e di controllo rigoristico dei costumi. La predicazione da severa che già era diventò cupa ed intimidatoria,· facendo del Dio di Gesù Cristo una divinità sospettosa e vendicativa.
Un calvinismo così involuto si trovò nella condizione di non poter resistere alla ventata liberatrice dei Lumi nel secolo XVIII. Nell'ambito stesso della Chiesa di Scozia si fece strada un orientamento opposto, quello dei cosiddetti «moderates», in cui si faceva largo credito alle idee ed ai gusti della nuova cultura. Al pessimismo antropologico dei Riformatori si contrappose una concezione ottimistica della natura umana e del decorso della storia, e la stessa fede in Dio e in Gesù Cristo venne praticamente a risolversi in un atteggiamento intellettualistico ed eticizzante, dovendo l'uomo nella propria vita riflettere l'ordinata razionalità della creazione e l'armonia che Dio esige dalla sua creatura privilegiata. Intorno alla metà del Settecento i «moderates» costituivano il partito dominante della Chiesa scozzese.

Può essere fatto rientrare nel razionalismo credente anche il socinianesimo, le cui dottrine nei secoli XVII e XVIII penetrarono largamente nei paesi protestanti.
La Ecclesia Reformata Minor, costituitasi in Polonia sul fondamento del pensiero di Fausto Socino (1539-1604), era stata bandita nel 1638 e la dispersione dei suoi membri aveva portato al sorgere di centri di diffusione del socinianesimo nella Prussia Orientale e nei Paesi Bassi. Di qui le idee sociniane passarono in Inghilterra, in Svizzera e in America, trovando favorevole accoglienza nelle facoltà teologiche ed in parte nel corpo pastorale, specialmente nel corso del Settecento. Alla fine di questo secolo la famosa Accademia di Calvino a Ginevra aveva un corpo insegnante costituito in gran parte di sociniani.
La ragione di questo tardivo successo del socinianesimo va cercata nel fatto che esso proponeva una lettura razionalistica delle Sacre Scritture e accantonava del tutto l'ortodossia di Nicea-Calcedonia, specialmente per quanto riguarda la persona e l'opera di Gesù Cristo. La negazione del peccato originale e del valore espiatorio della croce di Cristo andava certamente incontro alle esigenze di una teologia semplificatrice e conciliabile con la ragione. Il socinianesimo tuttavia faceva salvo il principio che Dio si sia rivelato in Gesù Cristo e professava che un cammino ubbidiente agli insegnamenti dell'evangelo costituisse la condizione di una vita dopo la morte. Questo bastava a distinguerlo dal razionalismo più radicale e a renderlo accetto a quanti ancora ritenevano che la chiesa e la sua predicazione avessero una ragione d'essere.

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Gli orientamenti ai quali abbiamo accennato erano considerati compatibili con l'appartenenza alle chiese costituite, anche se può meravigliare la disinvoltura con cui si passava sotto silenzio il fatto che quelle stesse chiese avessero delle confessioni di fede che non erano poi così remote e nemmeno poco esigenti in fatto di ortodossia. Dal tacito ripudio di tanta parte della dottrina, anche di quella più tipicamente protestante, si salvavano non senza vistose riserve alcuni princìpi di fede, come la rivelazione, la provvidenza di Dio, l'autorità della Bibbia, il magistero di Cristo, la vita eterna: il minimo indispensabile perché si potesse ancora usare l'etichetta di cristianesimo.

La stessa cosa non si può dire invece di quella espressione estrema del razionalismo teologico che fu il deismo. Sviluppatosi nella seconda metà del secolo XVII e nella prima metà del secolo XVIII, il deismo costituisce la prima aperta contrapposizione di una religione naturale alla religione rivelata.
Il dio dei deisti sta al principio dell'ordine dell'universo e della natura, ma non è provvidenza e nel suo rapporto con gli uomini è solo il garante dell'ordine morale. Non c'è una rivelazione, e nemmeno un disegno soprannaturale di salvezza, quindi non hanno fondamento le pretese delle chiese storiche. L'uomo può giungere con la sola forza della ragione a quei principi religiosi che stanno alla base del comportamento morale.
Il deismo trovò un terreno favorevole in Inghilterra, ove del resto i due massimi pensatori inglesi dell'epoca, Isaac Newton e John Locke, senza essere deisti, avevano fatto credito ad idee che andavano nella" direzione dei principi fondamentali annunciati dal deismo. Isaac Newton, descrivendo l'ordine matematicamente esatto dei cieli, rendeva evidente alla ragione l'esistenza di un supremo ordinatore, mentre John Locke nella sua opera The Reasonableness of Christianity (1695) riconosceva alla ragione umana la capacità di commisurarsi con la rivelazione e di tradurne il contenuto in concetti comprensibili.

Un passo più in là troviamo John Toland, con Christianity not Mysterious (1696), e Matthew Tindale con Christianity as Old as the Creation (1730), per i quali la rivelazione diventava superflua ed era possibile una religione rispondente alle attitudini naturali e spontanee dell'uomo. Questo non era ancora un deismo ostile al cristianesimo. Tindale era un ministro della Chiesa anglicana e non era certamente il solo a ritrovarsi in questa posizione.
Ma altri andarono ben oltre, come Antony Collins (1676-1729), che contestò l'autorità della Bibbia e l'accettabilità del cristianesimo, e Thomas Woolston (1669-1733), che passò a muovere altri attacchi alla fede cristiana, mettendo in questione i miracoli e la resurrezione di Gesù Cristo.
Il deismo inglese restò un fenomeno elitario e la sua influenza venne contro bilanciata da una nutrita fioritura di apologie dell'ortodossia, tra le quali emergono l'Alciphron di George Berkeley (1732), The Case of Reason di William Law (1731) e The Analogy of Religion di Joseph Butler (1736).
Una diffusione assai più larga ebbero le idee del deismo in Francia, grazie anche al grande prestigio di alcuni suoi sostenitori.
François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778), fece tradurre e diffondere gli scritti dei deisti inglesi e profuse spunti deistici nella sua vasta produzione letteraria. Egli ammetteva un principio divino da cui derivano il mondo e l'anima e sosteneva che l'uomo non deve a Dio altro che una condotta morale. Nessuno più di lui ha contribuito a screditare la Bibbia, mettendone in ridicolo le figure e i racconti.
Rientra nel deismo anche Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) che nell'Émile, con la Profession de foi du Vicaire savoyard, fece del sentimento la base di una religiosità in cui la testimonianza della natura e della coscienza morale è sufficiente a giustificare la fede in Dio e nell'immortalità dell'anima.
Il deismo in Francia permeò gli scritti degli enciclopedisti, ispirò i capi della Rivoluzione e contribuì alla formazione di un diffuso sentimento di ostilità nei riguardi del cristianesimo.
In Germania il deismo trovò la strada preparata dall'affermarsi della filosofia razionalistica di Leibnitz e soprattutto di Wolff. L'Università di Halle diventò una cittadella del deismo, grazie anche all'ascesa al trono di Federico II.
Ad Halle si ebbe una serie di professori di teologia che si distinsero per una interpretazione razionalistica dei testi biblici: Sigmund Jacob Baumgarten (1706-1755), Christian Benedikt Michaelis (1680- 1762), il figlio di questi Johann David Michaelis (1717-1791) e soprattutto Johann Salorno Semler (1725-1791). Quest'ultimo sostenne la tesi che la fede si evolve storicamente sotto la spinta delle idee morali, in modo che la storia delle religioni viene a coincidere con la storia della moralità. L'Antico Testamento rappresenta uno stadio arretrato di questa evoluzione ed è espressione delle idee morali del popolo ebraico.

Un'altra concezione storica della religìone ci è presentata da Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), che nell'opera Die Erziehung des Menschengeschlechts (L'educazione del genere umano, 1780) giustifica la rivelazione come la progressione degli interventi attraverso cui Dio educa l'umanità. È però nei piani di Dio che le verità rivelate diventino col tempo verità di ragione. «La Rivelazione - egli afferma - non offre nulla al genere umano a cui la ragione umana non possa arrivare anche da sola». In Die Religion Christi egli distingue tra la religione professata da Cristo, che egli accetta pienamente, e la «religione cristiana», fondata sulla dìvinizzazione di Cristo.
Fu il Lessing a curare negli anni 1774-1778 la pubblicazione postuma di alcune parti della Apologie, oder Schutzschrift fùr die vernùnftigen Verehrer Gottes (Apologia o difesa per gli adoratori intelligenti di Dio) che l'autore, Hermann Samuel Reimarus (1694- 1768), non aveva osato pubblicare in vita. Per Reimarus la ragione non può andare oltre l'ammissione di un Dio autore di una creazione in cui tutto concorre preordinatamente alla massima felicità degli esseri viventi. È su quest'unica base che possiamo giudicare della relativa verità delle religioni positive, fondate su una presunta rivelazione divina. Anche il cristianesimo è un miscuglio di vero e di falso sebbene Gesù si sia molto avvicinato alle verità della religione naturale. Che egli si sia proclamato Messia e sia risorto dai morti è stata secondo Reimarus una invenzione dei suoi discepoli.
Anche Kant può essere fatto rientrare nel deismo, specialmente con la sua Religione nei limiti della ragion pura (1793). Dio e l' anima sono per Kant idee della ragione su cui non si può fondare una conoscenza. La rivelazione storica è un puro oggetto di fede che la ragione umana, divenuta consapevole dei suoi limiti, non può né legittimare né escludere. L'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima sono postulati della Ragione Pratica e quindi momento culminante di una fede morale. La religione non fa che esprimere in simboli le esigenze della coscienza morale ed in ultima analisi ha il suo fondamento di verità nella ragione. Gesù Cristo è un maestro di etica, la chiesa è una società per l’educazione morale, il culto accetto a Dio è la buona condotta.

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Il secolo XVIII ci fa assistere ad un eccezionale avanzamento del sapere scientifico. Le scienze fisiche e naturali aprono nuovi orizzonti sulla realtà che circonda l'uomo: si accumula una massa impressionante di notizie sulla struttura dell'universo, sulla configurazione dell'orbe terraqueo, sui popoli della terra e le loro culture.
Di pari passo l'erudizione storica allargava i suoi confini ed invadeva il campo sino allora riservato ai miti e alle leggende, riconducendo in questo modo il divenire umano alle sue dimensioni naturali.
Questo prepotente bisogno di conoscere e di capire fu accompagnato da una vasta e fervida produzione di opere di divulgazione, che mettevano i risultati della ricerca scientifica e storica alla portata della società colta dei paesi europei. Il sapere ed il raziocinio furono veduti come gli strumenti di una emancipazione totale dell'uomo e del suo ingresso in un avvenire luminoso di ordine e di felicità. La nuova cultura, l'Illuminismo, aveva il carattere messianico e missionario di una religione.
Tra le molte e diverse conseguenze immediate di questo fenomeno dobbiamo porre il discredito che si riversò sulla Bibbia e sulla pretesa che essa potesse ancora proporsi come un'autorità. Si trovava che le narrazioni bibliche non reggessero più al confronto col linguaggio razionale e persuasivo delle scienze e soprattutto col metodo critico delle discipline storiche. Una volta accettato che la natura sia retta da leggi inderogabili, diventava estremamente difficile concepire una divinità che mediante il miracolo e la provvidenza interferisse con l'ordine naturale e la storia umana. L'uomo doveva accettare il fatto di essere l'unico responsabile del suo destino.

Dalla Bibbia il discredito si trasferiva alla chiesa, che dalla Bibbia aveva distillato dogmi: niente ormai più del dogma appariva estraneo ed irritante ad una mentalità nutrita della convinzione che nessun aspetto della realtà dovesse sottrarsi alle esigenze di intelligibilità e chiarezza della ragione.
Si diffuse così nel Settecento, specialmente nelle categorie colte della società, un atteggiamento critico nei riguardi del cristianesimo e della chiesa. Esso non di rado assumeva l'aspetto di una aperta negazione polemica, acre e schernevole, della dottrina cristiana e della funzione della chiesa, considerate ormai come espressione di un mondo che doveva scomparire. Dove la cultura illuministica si impose massicciamente, come in Francia, si giunse con la Rivoluzione francese ad un vero e proprio tentativo di scristianizzazione della società.
La risposta delle chiese alla sfida dell'Illurriinismo fu estremamente debole. Dove essa fu raccolta, la risposta si esaurì in una difesa dell'ortodossia priva in genere di accenti nuovi e quindi di mordente. Nel mondo protestante, in particolare, prevalse un atteggiamento di attenzione intellettuale, più che di dialogo vero e proprio, che si risolse praticamente in un processo di adattamento al clima che si era creato nel mondo della cultura.
Le teologie che già furono la forza del protestantesimo, come il luteranesimo e il calvinismo, vennero considerate una eredità non più accettabile di epoche lontane dalla sobrietà della ragione. Così si giunse ad un tacito accantonamento delle confessioni di fede e persino delle dottrine peculiari dei grandi Riformatori. Nelle facoltà teologiche prevalse un insegnamento asettico, da cui erano espunti quegli argomenti che potevano irritare il razionalismo di moda, come la rivelazione, la grazia,i miracoli, la divinità di Cristo.

La predicazione a sua volta aveva messo da parte i grandi temi neotestamentari, come il peccato, il ravvedimento, la giustificazione per fede, la croce di Cristo: i sermoni erano per lo più moraleggianti oppure esponevano nozioni di pratica utilità, piegandosi alla convinzione dominante che la gente avesse bisogno soprattutto di istruzione.
La controversia teologica era veduta come un deprecato ricordo del passato e la nuova parola d'ordine era la tolleranza di tutte le opinioni. Anche all'interno della chiesa si chiudeva un occhio sulle deviazioni dottrinali anche più gravi, col pretesto che quel che conta è la pratica, mentre in realtà venivano tollerati anche i comportamenti che si allontanavano dall'etica tradizionale.
Nella vita della comunità non si andava oltre un culto piuttosto formale: non c'era una formazione dei ragazzi, non si facevano studi biblici, l'attività missionaria era molto scarsa, e per la clericalizzazione dei ministeri era ridotto pressoché a nulla il coinvolgimento dei laici nella vita delle comunità locali. Sebbene fosse molto modesto l'impegno che si richiedeva ai fedeli, le attività della chiesa erano scarsamente seguite. Anche la pietà personale era scesa ad un livello molto basso.
Questo discorso vale soprattutto per le chiese costituite e protette dallo Stato, ma non bisogna credere che le chiese cosiddette libere versassero in condizioni migliori. Alcune di esse nel Settecento rischiarono l'estinzione o scomparvero del tutto.
Del resto anche il pietismo incideva in misura limitata sulla situazione delle chiese. Esso perseguiva i suoi obbiettivi attraverso le conventicole e sebbene non contestasse la chiesa di Stato era spesso oggetto dell'ostilità delle autorità ecclesiastiche. Inoltre nella seconda metà del secolo XVIII esso aveva perduto molto della sua vitalità.

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Non sarebbe esatto affermare che in questa crisi delle chiese si rispecchiasse la situazione che si era creata alloro esterno, come se nel secolo dell'Illuminismo la società fosse diventata compattamente irreligiosa. Quella che si suol chiamare «l'età della Ragione» era ben lungi dal presentarsi sotto un aspetto uniforme. Se è vero che il predominio di una cultura ha impresso i suoi caratteri ad un'epoca, non è men vero che contemporaneamente si siano avute correnti di pensiero e fenomeni spirituali che erano in netto contrasto con le idee dominanti.
Difatti è in piena epoca illuministica che si svolgono alcune non trascurabili fasi del pietismo e si affermano i primi movimenti di risveglio del mondo anglosassone, come il «Great Awakening» nelle colonie inglesi d'America ed il metodismo in Inghilterra, mentre nel mondo cattolico si protraggono gli effetti del giansenismo.
Né possiamo dimenticare che in questa stessa epoca si è avuta una ondata di misticismo che ha interessato la maggior parte dei paesi d'Europa e ha dato luogo ad una vasta e varia fioritura di fratellanze spirituali che di fatto costituivano un'alternativa alle chiese ..
Il fenomeno aveva avuto le sue prime manifestazioni nel mondo cattolico alla fine del Seicento col quietismo di Miguel de Molinos (1640-1697) e le esperienze mistiche di due donne, Madame Guyon (1648-1717) e Antoinette Bourignon (1616-1680), che condannate da Roma non mancarono di incontrare simpatie tra i protestanti.
Tra questi ultimi e sempre nel Seicento si ebbe in Olanda il fenomeno del labadismo, un movimento mistico originato dal pastore
Jean de Labadie (1610-1674), francese e convertito dal cattolicesimo.

Nello stesso tempo in Inghilterra, in Olanda ed in Germania si aveva una rinascita del misticismo di Jacob Boehme (1575-1624), da cui dovevano trarre ispirazione varie sette e scuole di teosofia cristiana. Tra le sette ricordiamo quella dei Filadelfi (« Philadelphian Society for the Advancement of Piety and Divine Philosophy»), fondata a Londra nel 1652 da John Portage (1607-1681) e dopo la morte di questi guidata da Jane Lead (1623-1704). Nel secolo XVIII il misticismo ha una presa notevole nei paesi protestanti e merita attenzione per l'importanza delle personalità che lo rappresentano.
Un mistico si deve considerare l'inglese William Law (1686-1761), ministro della Chiesa d'Inghilterra, autore di un'opera edificante di alto livello, A Serious Call to a Devout and Holy Life (1728), che esercitò al suo tempo ed anche in seguito una grande influenza.

Nella prima metà del Settecento si affermava un altro grande mistico protestante, lo svedese Emmanuel Swedenborg (1688-1772), le cui opere ebbero larga diffusione e da cui trasse origine una società di discepoli tuttora operante. Un discepolo di Swedenborg si deve considerare l'alsaziano Jean Frédéric Oberlin (1740-1826), pastore a Ban-de-Ia-Roche, una sperduta e dimenticata parrocchia dei Vosgi che egli riuscì a trasformare con le sue iniziative economiche e scolastiche.

Un orientamento spiccatamente mistico caratterizza altre due notevoli figure del protestantesimo di quest'epoca, il pastore zurighese Johann Caspar Lavater (1741-1801), scrittore ed innografo, ed il germanico Johann Heinrich Jung-Stilling (1740-1817), quest'ultimo già da noi ricordato come esponente del tardo pietismo tedesco.
Le scuole teosofiche conobbero un momento di grande fortuna e attrassero anche credenti sia cattolici sia protestanti, che vi trovavano la soddisfazione di quelle esigenze di novità e di approfondimento speculativo che le chiese non offrivano più.
Queste teosofie presentavano ai loro cultori delle sintesi di varie tradizioni filosofiche e religiose, in cui pitagorismo, neoplatonismo, cabala e dogmi cristiani interpretati in chiave di una sapienza esoterica si mescolavano con l'alchimia, l'astrologia e la teurgia. All'individuo era prospettata una conoscenza liberatrice delle forze interiori, tale da permettergli di inserirsi nel gioco delle forze spirituali che dominano il cosmo e presiedono all'evoluzione dell'umanità. In questo quadro la chiesa storica appariva costantemente come una componente di quel mondo arretrato ed angusto che quanto prima sarebbe scomparso. L'apertura progressi sta sul futuro, unitamente al bisogno di calarsi nei misteri dell'universo e dell'anima, ricollegava senza dubbio queste correnti di pensiero allo spirito dell'epoca.
Le idee teosofiche trovarono degli strumenti di diffusione nelle logge di quella massoneria mistica che, differenziandosi dalla massoneria inglese, invase il continente nella seconda metà del Settecento. Poiché nella Loggia alla dottrina si aggiungevano il rituale e la gerarchia dei carismi, veniva offerta agli amanti di novità una seducente alternativa alla parrocchia e al culto tradizionale della chiesa.
La Germania fu certamente il paese che più fu contagiato da questa moda. Tra le varie società segrete affini alla massoneria mistica vi primeggiavano i gruppi dei Rosacroce, il cui nome trae origine da un quasi mitico fondatore vissuto nel secolo XV, Christian Rosencreuz. Gruppi di Rosacroce sorsero anche in Russia, Polonia e Inghilterra.
Il tardo pietismo non resistette al fascino delle grandi sintesi teosofiche. Abbiamo già accennato alla teologia di Friedrich Christoph Oetinger, che si può definire una teosofia cristiana. Jung-Stilling e Lavater erano membri attivi di logge massoniche.

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Alla fine del secolo XVIII l'età dei Lumi era al suo tramonto. Già durante il suo decorso erano sorte delle correnti di pensiero che avevano sottoposto a rigorosa critica il processo della conoscenza, riducendo sempre più radicalmente la pretesa della ragione di poter tradurre ogni aspetto della realtà nei propri schemi. La filosofia dell'empirismo era giunta con David Hume (1711-1776) alla disintegrazione scettica dei presupposti tradizionali del conoscere ed alla negazione della validità di concetti metafisici come la sostanza spirituale e Dio.
Con Immanuel Kant infine la ragione sottoponeva a critica se stessa e definiva i limiti e la natura della sua attività rappresentatrice, mentre con l'autonomia riconosciuta alle sfere della volontà e del sentimento si inaugurava un'altra stagione del pensiero filosofico. D'altra parte al primato della ragione era stato contrapposto con veemenza quello del sentimento da parte di uno dei grandi maestri del secolo, Jean-Jacques Rousseau, al quale si deve anche la sistematica contestazione dell'ottimismo illuministico.
Il secolo si chiudeva con la Rivoluzione francese, che col suo degenerare nel fanatismo e nella tirannide sembrava seppellire ogni illusione di un mondo nuovo fondato sul raziocinio e la libertà. La parabola della ragione giungeva così al suo termine.

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Una seconda fase dei movimenti di risveglio del mondo protestante ebbe inizio proprio negli anni in cui le guerre che seguirono alla Rivoluzione francese coinvolgevano il continente europeo dalla Spagna alla Russia.
Gli ideali e i programmi della Rivoluzione non avevano mancato, almeno in un primo momento, di suscitare interesse anche in quegli ambienti religiosi in cui v'erano fermenti di rinnovamento ed una sensibilità per i problemi sociali, come era il caso dei cosiddetti «evangelicals» della Gran Bretagna. D'altra parte il movimento antischiavista inglese, capeggiato dall'« evangelical» William Wilberforce, aveva trovato simpatizzanti ed imitatori nei liberali francesi, come La Fayette, Mirabeau e Condorcet. Grazie a questi ammiratori, Wilberforce era stato nominato «cittadino» dall' Assemblea Nazionale.
Ma nel giro di pochi anni la situazione mutava radicalmente. Gli eccessi della Rivoluzione ed ancor più le guerre d'invasione provocarono in tutta Europa una profonda reazione, che assunse anche connotazioni religiose. Le guerre napoleoniche in particolare suscitarono un'ondata di attese millenaristiche. Le radici cristiane riaffioravano nella coscienza dei popoli. Gli sconvolgimenti politici e sociali, veduti essenzialmente nel loro aspetto negativo, alimentavano un senso di colpa che additava nella licenza dei costumi e nell'allontanamento dai princìpi del cristianesimo la causa profonda di quanto stava avvenendo.

La ripercussione dei grandi eventi storici si intrecciava, ed interagiva, con quei nuovi orientamenti della cultura europea che avrebbero assunto ben presto il carattere di romanticismo. In contrasto con le astrattezze della ragione illuministica si faceva strada un'intuizione ben più profonda del valore della storia e delle forze irrazionali che vi agiscono, come il sentimento e la fantasia. La grande imputata del tribunale della ragione, la tradizione, diventava ora la garante del patrimonio di cultura che i popoli accumulano e trasmettono nel corso dei secoli.
La rivalutazione della tradizione portava seco tra l'altro quella della religione e delle sue forme storiche. I nemici della Rivoluzione e dell'impero napoleonico combattevano anche nel nome della religione cristiana. I vincitori di Napoleone ostentavano interessi religiosi e dal Congresso di Vienna, col nuovo assetto politico e territoriale, uscì anche una «Santa Alleanza» delle monarchie, che si faceva vanto, al di là delle differenze confessionali, di una comune ispirazione cristiana. La formula del nuovo ordine era lo stretto legame tra trono e altare, anche se in effetti la Restaurazione si limitò a restituire alle chiese il prestigio sociale che avevano perduto nel Settecento. Il potere era ormai definitivamente nelle mani
degli Stati.
Sarebbe tuttavia stolto negare che dietro questa massiccia strumentalizzazione della religione non vi sia stata una autentica rinascita religiosa. Non deve farei velo il fatto che essa abbia giovato largamente alla causa della reazione e che molto spesso si sia nutrita di un nostalgico ed equivoco culto della tradizione. Anche se il ritorno alla religione fu in parte una moda dei tempi, è innegabile il fatto che il cristianesimo tradizionale sia riuscito a suscitare ancora una fede genuina in credenti appartenenti a tutte le classi sociali e a permeare le lettere e le arti della prima metà dell'Ottocento. La cultura del periodo romantico guarda difatti con rispetto ed interesse alla tradizione e sotto vari tende a riconciliarsi con la fede. L'importanza attribuita al sentimento nella vita dello spirito facilita questa Iegittimazione dell'esperienza religiosa e conduce alla valorizzazione sia della sua espressione popolare che di quella individuale.
La grande beneficiaria di questo ritorno alla tradizione ed alla religione dei padri fu la Chiesa cattolica, che più era stata bersaglio dei Lumi e della Rivoluzione. Per il forte carattere istituzionale e per il dogmatismo del suo magistero essa si trovava nella più vantaggiosa delle posizioni per andare incontro a quel bisogno di autorità e stabilità che era così diffuso nei primi decenni del secolo XIX. Il sacerdozio, il rito, il sacramento, per l'alone di misteriosità e di magia che li circondava, potevano in effetti suggestionare ed attrarre gli spiriti inclini al misticismo e sensibili al fascino dell'irrazionale.
Persino il papato riacquistava la sua parte di lustro e prestigio, prima attraverso l'esaltazione in chiave reazionaria che ne fecero scrittori come de Maistre e de Bonald, poi, man mano che l'intesa tra il trono e l'altare si logorava, con l'affermarsi dell'oltre-montanismo.

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Il protestantesimo delle chiese costituite venne largamente coinvolto nel clima di restaurazione politica e religiosa che abbiamo delineato, anche se non vi ebbe la parte di punta che fu invece del cattolicesimo. Le chiese protestanti beneficiarono anch'esse del ritorno alla religione che caratterizzò la prima metà del secolo XIX. Ma la rinascita religiosa che si ebbe nei paesi della Riforma fu in gran parte un risultato dei movimenti di risveglio e questi, come vedremo, costituirono un fenomeno che andò largamente al di là dell'àmbito istituzionale delle chiese stabilite. Queste ultime tutta- via, più o meno indipendentemente dall'effervescenza contagiosa dei risvegli, non rimasero estranee al rinnovato interesse per la Bibbia che si diffuse in tutto il mondo protestante, e riuscirono anche a rivitalizzare la predicazione e a restituire prestigio alla teologia.
Il ritorno all'ortodossia tradizionale fu tutt'altro che una cosa pacifica e sollevò controversie talvolta infuocate, che tuttavia contribuirono a creare una consapevolezza critica della storia e delle peculiarità dottrinali delle singole chiese.
V'è da chiedersi se i movimenti di risveglio che si ebbero nei paesi protestanti nella prima metà dell'Ottocento altro non siano che un aspetto della più generale rinascita religiosa che caratterizzò questo periodo.
Una risposta positiva a questa domanda non renderebbe interamente giustizia ai fatti se non fosse accompagnata da una riserva: quella che i primi movimenti di risveglio cominciarono nella prima metà del Settecento e che vi è un rapporto di continuità tra questi
e quelli che seguirono nell'Ottocento. Tra le due fasi di fatti non vi è soltanto una affinità di ispirazioni e motivazioni, ma anche una serie non trascurabile di mediazioni e di legami diretti.

Una caratteristica dei risvegli è la loro durata limitata, mentre eccezionale è il fatto che se ne abbiano diversi, simultanei o a breve distanza l'uno dall'altro, come accadde nel mondo protestante specialmente nel primo cinquantennio del secolo XIX. Anche questa particolarità contribuisce a rendere inconfondibile il fenomeno e a dare unità al quadro d'assieme che esso presenta. È legittimo difatti parlare di un unico Risveglio.
C'è stata un'età dei risvegli ed essa ebbe anche la sua fine, che coincide abbastanza bene con quella della generale rinascita religiosa della prima metà dell'Ottocento. Come questa vide un rapido tramonto nella seconda metà del secolo, così nello stesso periodo i movimenti di risveglio protestanti perdettero di vigore ed estensione, riducendosi per lo più a manifestazioni locali, isolate e ripetitive, o altrimenti legate all'attività di un predicatore d'eccezione.
Cominciava anche nella seconda metà dell'Ottocento quel processo di lenta scristianizzazione dell'occidente che doveva protrarsi lungo tutto il corso del secolo XX.

Se dalla fine di questo secolo guardiamo in prospettiva ai movimenti di risveglio, questi ci appaiono come uno dei momenti più importanti della storia del cristianesimo, e nella storia del protestantesimo in particolare come la sua più rilevante manifestazione di vitalità dai tempi della Riforma.  

Nota bibliografica

S. LATOURETTE, A History of the Expansion of Christianity; III-IV, New York, 1939-1941; J. H. NICHOLS, A History of Christianity, 1650- 1950, 1956; G. R. CRAGO, The Church and the Age of Reason, 1648-1789, London, 1960; A. R. VIDLER, The Church in an Age of Revolution, London, 1961; É. G. LÉONARD, Histoire générale du protestantisme, III: Déclin et renouveau, Paris, 1964 (trad. it., voI. terzo, parte prima, Milano, 1971). 

E.BEYREUTHER, Erweckung; in Religion in Geschichte und Gegenwart, II, 621-631;
S. SCHMIDT, Erweckungsbewegung e Erweckungstheologie, in Evangelisches Kirchenlexicon, I, 1135-1149; V. VINAY, Revival e Revivalismo, in Dizionario di scienze religiose, V, 324-329; U. GASTALDI, Alcuni caratteri dei movimenti di risveglio nel mondo protestante, «Studi ecumenici», 1987/1, pp. 75-100. L'opera fondamentale di Spener è stata tradotta in italiano: P. J. SPENER, Pia desideria. Il "manifesto" del pietismo tedesco (1675), a cura di R. Osculati, postfazione di Paolo Ricca, Torino, Claudiana, 1986.


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- I movimenti di risveglio nel mondo protestante. Dal “Great Awaking” (1720) ai “revivals” del nostro secolo (XX) - © Ugo Gastaldi, Claudiana 1989

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