L'ECCLESIOLOGIA ANABATTISTA
di
Ugo
Gastaldi
Parte terza
LA COMUNITÀ: IL RAPPORTO CON IL MONDO
Giunti
a questo punto ci resta da chiarire meglio questo aspetto della concezione
anabattistica della chiesa cui si è già ripetutamente accennato: vale a dire il
rapporto della chiesa con il mondo. Il pensiero anabattista in merito può
essere così compendiato: la chiesa di Cristo è separata dal mondo, è chiesa
sofferente ed è chiesa missionaria.
1.
Chiesa separata dal mondo
Questo
concetto di «chiesa separata» può essere facilmente equivocato, anche perché
assai spesso le comunità anabattiste sembrano presentarne una interpretazione
pratica piuttosto angusta. Bisogna risalire, per comprenderne il significato e
valutarne la portata, all'intuizione originaria da cui deriva.
Che
la chiesa di Cristo debba essere « separata dal mondo », non vuol dire che la
chiesa, sia come comunità che come singoli suoi membri, debba isolarsi e non
avere rapporti con la società in mezzo a cui vive, sebbene praticamente a
questo gli anabattisti fossero costretti, essendo stati messi al bando della
vita civile.
In
realtà gli anabattisti ricuperano a modo loro il senso biblico del concetto di
« mondo », tornando così a farne una significativa categoria teologica. Il «
mondo» torna ad essere per essi la condizione insanabile di peccato e di
ribellione a Dio in cui si trova l'umanità nel suo complesso ed
in tutte le sue espressioni. Il fatto che Dio, a motivo del peccato, abbia
stabilito delle autorità ed un ordine nella società umana, non ne cambia la
natura e non ne fa un secondo regno, rientrante anch'esso nella giurisdizione
di Dio. V'è un solo regno di Dio e non già due. Il mondo è comunque il regno
del maligno, la contraddizione insuperabile del regno di Dio. Questo ha il suo
re in Gesù Cristo, la sua norma di vita nell'evangelo ed i suoi cittadini nei
discepoli di Cristo. Regno di Dio e mondo tornano così ad essere collocati
l'uno contro l'altro, assolutamente diversi e incompatibili. La tensione in cui
si trovano è rifiuto reciproco e guerra senza tregua e riserva. La chiesa non è
una mediazione della loro contraddizione, un ponte gettato tra due sponde
opposte, ma parte integrante del contrasto, perché il suo posto è in uno dei
due campi e precisamente dove è piantata la croce di Cristo.
Questo
severo senso biblico dell'antitesi tra chiesa e mondo era andato evidentemente
perduto nel medioevo o per lo meno aveva subito una impressionante riduzione o
modificazione di contenuto. Mentre da una parte col monachesimo veniva
consentita la fuga dal mondo a chi cercava la perfezione cristiana, dall'altra
si arrivava a concepire ed a teorizzare una identità di diritto, se non di
fatto (perché si lasciava un margine all'imperfezione umana), tra chiesa e
società, autorità della chiesa ed autorità dello stato, giustizia divina e
giustizia umana, sapienza della chiesa e sapienza mondana, e tutto nel nome di
una attuale signoria di Cristo sul mondo che la chiesa docente ed imperante si
arrogava come sua vicaria.
Un
simile mutamento di prospettiva aveva cambiato addirittura il volto del
cristianesimo, perché ne aveva modificato l'escatologia, la dottrina della
chiesa, della salvezza, dei sacramenti, l'antropologia e la morale. I
Riformatori, se si resero conto di alcune di queste conseguenze, in realtà non
ne videro la causa profonda e si limitarono semplicemente a correggere gli
aspetti più profani del concetto ormai tradizionale del rapporto
chiesa-mondo.
Lutero,
che del problema fu costretto ad occuparsi proprio in polemica con i radicali,
ha creduto di dargli una soluzione equilibrata e realistica con quella sua
brillante e moderna « dottrina dei due regni» che ricalca lo schema teologico
del cristiano « justus et peccator », ma in cui la tensione biblica dei due
termini effettivamente si attenua ancora una volta in un ragionevole anche se provvisorio
compromesso. Tutti i radicali, più o meno, e con accenti talora diversissimi,
tornano a sottolineare la necessità di ricollocare i due mondi nella loro
posizione di contraddittorietà ed antagonismo. Tra di essi gli anabattisti, in
quanto si accingono a ricostruire la vera chiesa di Cristo, sono portati
naturalmente ad esasperare da una parte la prospettiva della contraddizione e
dall'altra a darle una espressione sul terreno pratico, nella situazione
concreta in cui si sono trovati a viverla.
Questo
spiega perché gli anabattisti assumono di fronte alle istituzioni sociali,
politiche e religiose del loro tempo un atteggiamento di non partecipazione,
rifiutandosi di riconoscere la chiesa di stato, di ubbidire quando le autorità
civili interferiscono nella sfera della fede, di prestare il servizio militare,
di pagare le tasse di guerra, di prestare il giuramento civico di lealtà, di
assumere incarichi di carattere civile. Il senso dell'incompatibilità tra la
logica del mondo e quella del regno di Dio si fa talvolta così acuto da
condurre in alcuni rami dell'anabattismo all'astensione da quelle attività
economiche che implicano la ricerca del profitto, la pura speculazione o lo
sfruttamento degli altri.
2.
Chiesa sofferente e missionaria
Il
prezzo di questo atteggiamento, che venne veduto e definito come sedizioso,
furono lo scandalo e la persecuzione. E purtroppo in quello che accadde non ci
fu equivoco, come può sembrare ad un primo superficiale sguardo. L'anabattismo
si vedeva offerta dai suoi stessi nemici la
riprova di essere nel vero e faceva così della sofferenza della chiesa in
questo mondo uno degli elementi essenziali della sua concezione della vera
chiesa di Cristo, chiamata a vivere non solo in un mondo peccatore, ma anche in
un mondo avverso. La chiesa è al posto giusto nel mondo quando è la «chiesa
sofferente» (die
leidende Gemeinde) e
nel martirio essa ha la sua più autorevole autenticazione. Gli anabattisti
vedevano confermata in modo impressionante in ogni riga del Nuovo Testamento la
loro posizione dottrinale e pratica e forse non c'è stato un altro momento
nella storia del cristianesimo in cui si sia verificata tanta aderenza tra
Scrittura ed esperienza cristiana.
Questa
visione pessimistica e dualistica del rapporto col mondo spiega anche un altro
dei caratteri più originali della comunità anabattista. In un mondo peccatore,
la chiesa non può essere che una comunità missionaria. Gli anabattisti sono
stati i primi nell'ambito del protestantesimo, a lungo paralizzato
dall'ossequio al cuius regio eius religio, a restituire un significato ed una
ragione all'attività missionaria, dando ad essa una organizzazione ed uno
sviluppo che giustamente hanno attratto l'attenzione e l'interesse degli
storici della chiesa.
3.
Un problema che resta aperto
Non
mi sembra il caso di insistere su certi aspetti semplicistici ed angusti
dell'interpretazione che gli anabattisti hanno dato alla rappresentazione
biblica del rapporto tra chiesa e mondo. Essi sono anche troppo evidenti anche
se in parte sono addebitabili alla situazione del tutto eccezionale in cui quel
rapporto fu esperimentato. Discriminati e rifiutati dalla società civile del
loro tempo, gli anabattisti non potevano avere quella consapevolezza che invece
è così forte nelle nostre generazioni, dell’impossibilità materiale e morale di
separarci e di trarci fuori da un mondo che coinvolge cristiani e non cristiani
in un groviglio inestricabile di conni-venze e di responsabilità.
Tuttavia
l'espressione dottrinale che gli anabattisti hanno dato a questo aspetto del
loro pensiero è di un vigore e di una vividezza veramente impressionanti, forse
anche a motivo del fatto che il linguaggio da essi usato è sempre ed
esclusivamente un fitto e ben contesto tessuto di citazioni bibliche.
Non
v'è dubbio che l'anabattismo abbia una teologia implicita, straordinariamente
aderente non tanto alla lettera, come erroneamente si è creduto, quanto allo
spirito del Nuovo Testamento. Gli anabattisti vanno senza dubbio collocati nel
filone di una tradizione teologica, diversa da quella
paolina-agostiniana-luterana, che fa capo ai Sinottici ed alla «teologia del
Regno» che li caratterizza. Anche il crudo ed ostico concetto che l'anabattismo
ci offre del rapporto tra chiesa e mondo, va inquadrato in questa tradizione
teologica e deve essere riconosciuto non come il prodotto di un chiuso spirito
settario, ma come il risultato, discutibile quanto si vuole, di una seria
lettura della Bibbia.
In questa
lettura in parte gli anabattisti furono guidati da un atteggiamento di
ubbidiente ascolto della Parola, pressoché libero di preconcetti teologici
vecchi e nuovi, ed in parte furono favoriti proprio dall'intransigente
opposizione che trovarono sia da parte della chiesa di stato che delle autorità
civili. È anche troppo evidente che essi non leggessero semplicemente la Bibbia
come la leggeva ogni buon luterano, zwingliano o calvinista, ma la leggessero
in una particolare situazione che non poteva non riflettersi sulla lettura.
Resta comunque dinnanzi a noi questo fatto significativo, che gli anabattisti,
offrendoci un così elevato e sofferto ideale della chiesa di Cristo, ci
richiamano anche a questo carattere della comunità cristiana che è la «separazione
dal mondo». In tanto la loro testimonianza ci può essere utile, in quanto ci
invita a considerare se, e in che senso, e in che misura diventa vera anche per
noi nel nostro tempo questa Parola di Dio che non può essere annullata.
Poiché
il problema sta dinnanzi anche a noi, come dinnanzi ad ogni generazione
cristiana, e non può essere negato ed eluso per il fatto che altri gli abbiano
dato una soluzione sbagliata o una soluzione che non ci serve a nulla nel tempo
in cui viviamo.
CONCLUSIONE
Una
conclusione di questo studio sulla concezione anabattistica della chiesa
potrebbe compendiarsi in questi tre punti essenziali:
1.
Il dissenso anabattista, se ha in comune con quello di altre correnti radicali
il rifiuto di una chiesa «riformata» che avrebbe tradito i princìpi ispiratori
stessi della Riforma, assume anche l’aspetto di una proposta positiva e di una
realizzazione diversa della comunità cristiana, restando così sostanzialmente e
consapevolmente nell'ambito di una visione globale della Parola di Dio e
ricuperandone valori che nel corso della storia della chiesa erano stati
negletti o erano andati del tutto perduti:
2.
L'aspetto indubbiamente più originale e significativo della nuova visione della
chiesa è l'importanza attribuita alla concreta vita comunitaria ed alla
necessità di anticipare sin da ora nell'ambito del rapporto fraterno la «
giustizia» del regno di Dio che viene.
3.
Lo stesso concetto di una chiesa «separata dal mondo», malgrado abbia avuto
nell'anabattismo uno sviluppo dottrinale ed una realizzazione pratica su cui
pesa non poco il condizionamento di una situazione, ripropone un arduo problema
che sta dinnanzi alla chiesa in ogni momento della sua storia: quello del suo
rapporto con la cultura della società in cui vive, un rapporto che è vitale
solo se la chiesa riesce a mantenersi con essa in comunicazione e nello stesso
tempo in tensione, riuscendo a conciliare in modo sempre nuovo la necessità di
vivere «nel mondo» con quella di non diventare «di questo mondo».
© Ugo Gastaldi
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