19.9.13

La Chiesa nell'anabattismo

L'ECCLESIOLOGIA ANABATTISTA

di
Ugo Gastaldi

 
 
Parte terza
 
LA COMUNITÀ: IL RAPPORTO CON IL MONDO
 
 
 Giunti a questo punto ci resta da chiarire meglio questo aspetto della concezione anabattistica della chiesa cui si è già ripetutamente accennato: vale a dire il rapporto della chiesa con il mondo. Il pensiero anabattista in merito può essere così compendiato: la chiesa di Cristo è separata dal mondo, è chiesa sofferente ed è chiesa missionaria. 
  
1. Chiesa separata dal mondo 
 
Questo concetto di «chiesa separata» può essere facilmente equivocato, anche perché assai spesso le comunità anabattiste sembrano presentarne una interpretazione pratica piuttosto angusta. Bisogna risalire, per comprenderne il significato e valutarne la portata, all'intuizione originaria da cui deriva. 
Che la chiesa di Cristo debba essere « separata dal mondo », non vuol dire che la chiesa, sia come comunità che come singoli suoi membri, debba isolarsi e non avere rapporti con la società in mezzo a cui vive, sebbene praticamente a questo gli anabattisti fossero costretti, essendo stati messi al bando della vita civile. 
 
In realtà gli anabattisti ricuperano a modo loro il senso biblico del concetto di « mondo », tornando così a farne una significativa categoria teologica. Il « mondo» torna ad essere per essi la condizione insanabile di peccato e di ribellione a Dio in cui si trova l'umanità nel suo complesso ed in tutte le sue espressioni. Il fatto che Dio, a motivo del peccato, abbia stabilito delle autorità ed un ordine nella società umana, non ne cambia la natura e non ne fa un secondo regno, rientrante anch'esso nella giurisdizione di Dio. V'è un solo regno di Dio e non già due. Il mondo è comunque il regno del maligno, la contraddizione insuperabile del regno di Dio. Questo ha il suo re in Gesù Cristo, la sua norma di vita nell'evangelo ed i suoi cittadini nei discepoli di Cristo. Regno di Dio e mondo tornano così ad essere collocati l'uno contro l'altro, assolutamente diversi e incompatibili. La tensione in cui si trovano è rifiuto reciproco e guerra senza tregua e riserva. La chiesa non è una mediazione della loro contraddizione, un ponte gettato tra due sponde opposte, ma parte integrante del contrasto, perché il suo posto è in uno dei due campi e precisamente dove è piantata la croce di Cristo. 
 
Questo severo senso biblico dell'antitesi tra chiesa e mondo era andato evidentemente perduto nel medioevo o per lo meno aveva subito una impressionante riduzione o modificazione di contenuto. Mentre da una parte col monachesimo veniva consentita la fuga dal mondo a chi cercava la perfezione cristiana, dall'altra si arrivava a concepire ed a teorizzare una identità di diritto, se non di fatto (perché si lasciava un margine all'imperfezione umana), tra chiesa e società, autorità della chiesa ed autorità dello stato, giustizia divina e giustizia umana, sapienza della chiesa e sapienza mondana, e tutto nel nome di una attuale signoria di Cristo sul mondo che la chiesa docente ed imperante si arrogava come sua vicaria. 
Un simile mutamento di prospettiva aveva cambiato addirittura il volto del cristianesimo, perché ne aveva modificato l'escatologia, la dottrina della chiesa, della salvezza, dei sacramenti, l'antropologia e la morale. I Riformatori, se si resero conto di alcune di queste conseguenze, in realtà non ne videro la causa profonda e si limitarono semplicemente a correggere gli aspetti più profani del concetto ormai tradizionale del rapporto chiesa-mondo. 
 
Lutero, che del problema fu costretto ad occuparsi proprio in polemica con i radicali, ha creduto di dargli una soluzione equilibrata e realistica con quella sua brillante e moderna « dottrina dei due regni» che ricalca lo schema teologico del cristiano « justus et peccator », ma in cui la tensione biblica dei due termini effettivamente si attenua ancora una volta in un ragionevole anche se provvisorio compromesso. Tutti i radicali, più o meno, e con accenti talora diversissimi, tornano a sottolineare la necessità di ricollocare i due mondi nella loro posizione di contraddittorietà ed antagonismo. Tra di essi gli anabattisti, in quanto si accingono a ricostruire la vera chiesa di Cristo, sono portati naturalmente ad esasperare da una parte la prospettiva della contraddizione e dall'altra a darle una espressione sul terreno pratico, nella situazione concreta in cui si sono trovati a viverla. 
Questo spiega perché gli anabattisti assumono di fronte alle istituzioni sociali, politiche e religiose del loro tempo un atteggiamento di non partecipazione, rifiutandosi di riconoscere la chiesa di stato, di ubbidire quando le autorità civili interferiscono nella sfera della fede, di prestare il servizio militare, di pagare le tasse di guerra, di prestare il giuramento civico di lealtà, di assumere incarichi di carattere civile. Il senso dell'incompatibilità tra la logica del mondo e quella del regno di Dio si fa talvolta così acuto da condurre in alcuni rami dell'anabattismo all'astensione da quelle attività economiche che implicano la ricerca del profitto, la pura speculazione o lo sfruttamento degli altri. 
 
2. Chiesa sofferente e missionaria 
 
Il prezzo di questo atteggiamento, che venne veduto e definito come sedizioso, furono lo scandalo e la persecuzione. E purtroppo in quello che accadde non ci fu equivoco, come può sembrare ad un primo superficiale sguardo. L'anabattismo si vedeva offerta dai suoi stessi nemici la riprova di essere nel vero e faceva così della sofferenza della chiesa in questo mondo uno degli elementi essenziali della sua concezione della vera chiesa di Cristo, chiamata a vivere non solo in un mondo peccatore, ma anche in un mondo avverso. La chiesa è al posto giusto nel mondo quando è la «chiesa sofferente» (die leidende Gemeinde) e nel martirio essa ha la sua più autorevole autenticazione. Gli anabattisti vedevano confermata in modo impressionante in ogni riga del Nuovo Testamento la loro posizione dottrinale e pratica e forse non c'è stato un altro momento nella storia del cristianesimo in cui si sia verificata tanta aderenza tra Scrittura ed esperienza cristiana.  
Questa visione pessimistica e dualistica del rapporto col mondo spiega anche un altro dei caratteri più originali della comunità anabattista. In un mondo peccatore, la chiesa non può essere che una comunità missionaria. Gli anabattisti sono stati i primi nell'ambito del protestantesimo, a lungo paralizzato dall'ossequio al cuius regio eius religio, a restituire un significato ed una ragione all'attività missionaria, dando ad essa una organizzazione ed uno sviluppo che giustamente hanno attratto l'attenzione e l'interesse degli storici della chiesa. 
 
3. Un problema che resta aperto
 
Non mi sembra il caso di insistere su certi aspetti semplicistici ed angusti dell'interpretazione che gli anabattisti hanno dato alla rappresentazione biblica del rapporto tra chiesa e mondo. Essi sono anche troppo evidenti anche se in parte sono addebitabili alla situazione del tutto eccezionale in cui quel rapporto fu esperimentato. Discriminati e rifiutati dalla società civile del loro tempo, gli anabattisti non potevano avere quella consapevolezza che invece è così forte nelle nostre generazioni, dell’impossibilità materiale e morale di separarci e di trarci fuori da un mondo che coinvolge cristiani e non cristiani in un groviglio inestricabile di conni-venze e di responsabilità. 
Tuttavia l'espressione dottrinale che gli anabattisti hanno dato a questo aspetto del loro pensiero è di un vigore e di una vividezza veramente impressionanti, forse anche a motivo del fatto che il linguaggio da essi usato è sempre ed esclusivamente un fitto e ben contesto tessuto di citazioni bibliche. 
 
Non v'è dubbio che l'anabattismo abbia una teologia implicita, straordinariamente aderente non tanto alla lettera, come erroneamente si è creduto, quanto allo spirito del Nuovo Testamento. Gli anabattisti vanno senza dubbio collocati nel filone di una tradizione teologica, diversa da quella paolina-agostiniana-luterana, che fa capo ai Sinottici ed alla «teologia del Regno» che li caratterizza. Anche il crudo ed ostico concetto che l'anabattismo ci offre del rapporto tra chiesa e mondo, va inquadrato in questa tradizione teologica e deve essere riconosciuto non come il prodotto di un chiuso spirito settario, ma come il risultato, discutibile quanto si vuole, di una seria lettura della Bibbia. 
In questa lettura in parte gli anabattisti furono guidati da un atteggiamento di ubbidiente ascolto della Parola, pressoché libero di preconcetti teologici vecchi e nuovi, ed in parte furono favoriti proprio dall'intransigente opposizione che trovarono sia da parte della chiesa di stato che delle autorità civili. È anche troppo evidente che essi non leggessero semplicemente la Bibbia come la leggeva ogni buon luterano, zwingliano o calvinista, ma la leggessero in una particolare situazione che non poteva non riflettersi sulla lettura. Resta comunque dinnanzi a noi questo fatto significativo, che gli anabattisti, offrendoci un così elevato e sofferto ideale della chiesa di Cristo, ci richiamano anche a questo carattere della comunità cristiana che è la «separazione dal mondo». In tanto la loro testimonianza ci può essere utile, in quanto ci invita a considerare se, e in che senso, e in che misura diventa vera anche per noi nel nostro tempo questa Parola di Dio che non può essere annullata. 
Poiché il problema sta dinnanzi anche a noi, come dinnanzi ad ogni generazione cristiana, e non può essere negato ed eluso per il fatto che altri gli abbiano dato una soluzione sbagliata o una soluzione che non ci serve a nulla nel tempo in cui viviamo.   
 
CONCLUSIONE
 
Una conclusione di questo studio sulla concezione anabattistica della chiesa potrebbe compendiarsi in questi tre punti essenziali: 
 
1. Il dissenso anabattista, se ha in comune con quello di altre correnti radicali il rifiuto di una chiesa «riformata» che avrebbe tradito i princìpi ispiratori stessi della Riforma, assume anche l’aspetto di una proposta positiva e di una realizzazione diversa della comunità cristiana, restando così sostanzialmente e consapevolmente nell'ambito di una visione globale della Parola di Dio e ricuperandone valori che nel corso della storia della chiesa erano stati negletti o erano andati del tutto perduti: 
 
2. L'aspetto indubbiamente più originale e significativo della nuova visione della chiesa è l'importanza attribuita alla concreta vita comunitaria ed alla necessità di anticipare sin da ora nell'ambito del rapporto fraterno la « giustizia» del regno di Dio che viene. 
 
3. Lo stesso concetto di una chiesa «separata dal mondo», malgrado abbia avuto nell'anabattismo uno sviluppo dottrinale ed una realizzazione pratica su cui pesa non poco il condizionamento di una situazione, ripropone un arduo problema che sta dinnanzi alla chiesa in ogni momento della sua storia: quello del suo rapporto con la cultura della società in cui vive, un rapporto che è vitale solo se la chiesa riesce a mantenersi con essa in comunicazione e nello stesso tempo in tensione, riuscendo a conciliare in modo sempre nuovo la necessità di vivere «nel mondo» con quella di non diventare «di questo mondo». 
 
 
© Ugo Gastaldi




 
 

 
 

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