LA COMUNITÀ: l RAPPORTI INTERNI
1.
Comunione della Parola
Praticamente
quanti si riconoscono e si accettano come fratelli in Cristo costituiscono,
secondo gli anabattisti, la chiesa e la realizzano in quella sua espressione
concreta e visibile che è la comunità locale. Lo strumento della comunione e
della comunicazione tra i fratelli è la Parola di Dio. La Scrittura è il punto
di riferimento costante di quanto si dice e si decide nella comunità. La
comunità è quindi innanzitutto un gruppo di credenti che si riunisce
regolarmente allo scopo di ascoltare e studiare la Parola di Dio per la
reciproca edificazione ed esortazione. Concepita la vita cristiana come «
discepolato », al centro della vita comunitaria è il Cristo maestro, con la sua
parola ed il suo esempio. L'anabattista, più di ogni altro protestante, ha una
seria ed organica padronanza degli insegnamenti di Gesù Cristo e degli
apostoli, perché la vita comunitaria lo impegna personalmente e non gli
consente di delegare ad altri il giudizio e la decisione.
Sarebbe
inesatto dire che nella comunità anabattista la predicazione si riduca ad uno
studio biblico, ma è indubbio che essa si subordina a quello che è lo scopo
dichiarato di ogni riunione: cercare e conoscere la volontà di Dio. Fa una
certa impressione vedere negli scritti degli anabattisti esplicitamente
enunciato questo scopo primario della comunità. In uno dei più antichi testi
del movimento, l' Ordnung der Gemein attribuita al martire Hans Schlaffer (†
1528) si legge: «Articolo primo: ... quando i fratelli si riuniscono essi
devono chiedere a Dio che Egli riveli loro per grazia la sua divina volontà e
li aiuti a conoscerla ... ».
La
garanzia fondamentale di questa conoscenza è nella retta interpretazione della
Parola di Dio.
Quella
del «profeta» mosso dallo Spirito Santo, di fronte a cui la comunità rinuncia
alle sue prerogative e si fa gregge, è in realtà una figura marginale e
degenere dell'anabattismo, sostanzialmente estranea alla sua più genuina
essenza. Nella normale comunità anabattista l'interpretazione della Parola di
Dio non viene lasciata all’estro paracletico degli ispirati, come non viene
affidata ad un corpo di esperti, qualificati da un titolo rilasciato da una
facoltà teologica.
Il locus dell'autorità della Scrittura è nella stessa
comunità riunita, e questo è senza dubbio un altro dei tratti più originali
dell'esperienza comunitaria anabattista. nella ricerca in comune della verità e
della volontà di Dio, la Parola acquista così vita e movimento, diventa la
risposta dello Spirito alla domanda dei credenti e coinvolge l'intera fratellanza.
Questo genere di ermeneutica - quando è effettivamente praticata e non
semplicemente teorizzata - conferisce un carattere permanente ed operante al
«libero esame» luterano e offre un'occasione di concreta esperienza al
principio del sacerdozio universale dei credenti. V'è nelle testimonianze
anabattiste una precisa consapevolezza di questo carattere peculiare del loro
modo di riunirsi. In una Gemeindeordnung redatta da Leupold Scharnschlager si
leggono queste parole: «All'uno può seguire un altro nel parlare, secondo il
modo in cui riceve qualche cosa, come Paolo insegna (I Cor. 14), e così
esercitare i suoi doni per il miglioramento dei membri della comunità, in modo
che la nostra comunione non sia la stessa della chiesa falsamente celebrata,
ove soltanto uno può parlare e nessun altro ».
2.
Comunità carismatica
Questa
«comunione della Parola» ha tuttavia un presupposto che giustifica e spiega
questa ed ogni altra essenziale caratteristica della comunità anabattista: una
profonda fede nell'azione dello Spirito Santo in mezzo alla fratellanza
credente ed orante.
Come
è lo Spirito che riunisce i credenti nella chiesa di Cristo, così è lo Spirito
che le dà vita, la sostiene e la regge. E lo Spirito Santo di cui gli
anabattisti parlano - salvo qualche eccezione - è quello inconfondibile del
Nuovo Testamento: è cioè lo Spirito di verità, il consigliere, il confortatore,
il rivelatore della volontà di Dio, la presenza della sua potenza del suo
amore. Lo Spirito Santo è soprattutto colui che distribuisce liberamente i suoi
doni o carismi ai singoli fratelli perché l'intera fratellanza se ne valga e ne
goda. Il rispetto della libertà dello Spirito è difatti la giustificazione e la
garanzia della libertà e dell'eguaglianza dei credenti nell'ambito della comunità.
La
comunità anabattista è quindi essenzialmente una comunità carismatica. Gli
stessi ministeri che la comunità affida ad alcuni suoi membri si fondano sul
riconoscimento del dono. Vi sono difatti anche tra gli anabattisti delle
categorie di ministri, o meglio servitori (la parola più costantemente usata è
Diener), come i predicatori, i diaconi e gli anziani, ma si tratta di incarichi
costantemente subordinati alla scelta ed al beneplacito della comunità, che non
abdica mai alla sua libertà ed alla sua autorità.
Elementi
profetici e mistici si equilibrano in questo genere di esperienza spirituale
che normalmente è controllata e disciplinata dal continuo riferimento alla
Sacra Scrittura e dall'esercizio comunitario del ministerio della Parola. Il rischio
della presunzione dello Spirito Santo ed i pericoli di un ispirazionismo che fa
credito alle rivelazioni personali o collettive (ai sogni, alle visioni, ai
segni, alle teofanie ed agli impulsi emotivi) sono avvertiti per tempo da parte
delle figure più rappresentative del movimento e trovano un efficace argine nel
principio che la testimonianza della fratellanza deve essere unitaria e
concorde e quindi condizionata dal consensus comunitario. Ben di rado questo
principio venne accantonato o sacrificato alle pretese di qualche leader
prestigioso. Persino una personalità esuberante com'era Hans Hut dovette metter
la sordina al profetismo escatologico che venava la sua predicazione,
inchinandosi dinnanzi all'autorità della comunità dei fratelli di Augusta che
gli aveva espresso il suo dissenso.
3.
Comunione dei beni
L'intenso
significato che assumono i concetti di fratellanza e di comunione trova la sua
espressione in un'altra delle caratteristiche della comunità anabattista: la
comunanza o comunione dei beni ( Gütergemeinschaft).
Secondo gli anabattisti il credente, in quanto è un membro del corpo di Cristo,
vi partecipa e lo serve non solo con i doni dello Spirito ma anche con i beni
che Dio gli concede. L'epistola di Giacomo gode di un grande credito tra i «
fratelli» ed essa insegna che la responsabilità che ciascuno ha degli altri non
può limitarsi al piano puramente spirituale, ma
deve estendersi anche alle condizioni materiali di vita. Non si ha quindi vera
comunione fraterna se anche i beni non vengono messi in comune. È questo un
principio costante di vita comunitaria che si ritrova in tutti i gruppi del
movimento, anche se non viene sempre inteso ed applicato nello stesso
modo.
Nel
suo aspetto più generale e più largo la comunione dei beni era intesa come
l'espressione di un concreto amor fraterno nei riguardi di quei membri della
comunità che si trovavano nel bisogno (Liebeskommunismus), indipendentemente
dalla partecipazione agli oneri che l'attività della comunità comportava. Non
v'era alcuna costrizione o regolamentazione nel dare. Le comunità dei fratelli hutteriti sotto questo aspetto costituiscono
un'eccezione, in quanto impongono una rinuncia totale alla proprietà privata.
La giustificazione teologica della comunità dei beni veniva posta nel concetto
che tutto effettivamente appartiene al Signore del cielo e della terra e che
chi possiede qualcosa è soltanto un amministratore dei beni del cui uso deve
rendere conto. La novità consisteva quindi nel fatto che una dottrina
tradizionale era messa seriamente in pratica ed aveva una applicazione così
inconsueta da stupire o scandalizzare quelli di fuori, tanto che sin dalle
origini e per molto tempo gli anabattisti vennero accusati di essere
comunisti.
Non
si deve dimenticare che le comunità anabattiste sin dal loro sorgere si
trovavano gettate nella fornace della persecuzione e dovevano assumere su di sé
il doloroso fardello dei profughi e delle famiglie dei prigionieri e dei
martiri. Erano le situazioni reali che facevano scaturire le illuminazioni di
un amore fraterno in Gesù Cristo cui non si potevano porre limiti. La dottrina
della comunità evidentemente non precedeva, ma seguiva l'esperienza
comunitaria, e questa a sua volta era l'espressione spontanea e naturale di una
vivida intuizione della vita del Cristo nelle membra del suo corpo. .
4.
Comunità escatologica
V'è
un altro concetto che permea ed influenza nel suo complesso la concezione
anabattistica della chiesa: la considerazione del suo posto e della sua
funzione nella storia. Gli anabattisti, come ritengono che tutto quello che nel
Nuovo Testamento si dice della chiesa non può essere diventato parola morta per
il fatto che la chiesa ha tralignato, così riconoscono che nella Scrittura
tutti gli atti salvifici che Dio compie nella storia conducono costantemente e
senza eccezioni alla chiesa come al loro scopo ultimo. La chiesa occupa nel
piano di Dio un posto centrale ed ha una funzione insostituibile. Se la chiesa
non ci fosse, nella storia della salvezza ci sarebbe un vuoto che non si vede
da che cos'altro potrebbe essere colmato. Essa si trova al termine delle
promesse dell' Antico Testamento ed all'inizio del loro compimento con la
venuta del Cristo, che è il Messia. Senza una chiesa non avrebbe senso una
continuità dell'opera di Cristo in questo mondo. Lo stesso Cristo sarebbe un
maestro senza discepoli ed un re senza sudditi. E la chiesa è anche l'unica
cosa che sopravviva alla fine di questo mondo e trapassi nel nuovo eone.
L'anabattismo,
pur avendo fieramente ripudiato la chiesa esistente anche nella sua versione
riformata, non si accontentava di una chiesa meramente spirituale ed invisibile
che sarebbe stata rivelata soltanto alla fine dei tempi con la seconda venuta
del Cristo. La fede nel Cristo, l'ub-bidienza alla Parola di Dio, implicano il
sentirsi membri della sua chiesa ed il costituirsi in corpo di Cristo visibile
ed operante in questo mondo, anche se questo significa dar corpo ad una piccola
comunità incompresa e disprezzata.
Gli
anabattisti si vedono del resto come il residuo fedele che è sopravvissuto alla
grande apostasia degli ultimi tempi, sono convinti di incarnare la chiesa del
tempo della fine e di anticipare,
sia pur parzialmente ed imperfettamente, nella loro vita comunitaria la società
giusta e fraterna del Regno.
Una
connotazione escatologica è già riconoscibile nel concetto della « nuova
nascita », sentito come l'acquisizione di fatto della cittadinanza nei cieli. I
rigenerati che costituiscono la vera comunità cristiana non solo vivono nella
tensione esistente tra il vecchio ed il nuovo eone, tra giustizia terrena e
giustizia del Regno, ma nella consapevolezza di trovarsi non già in mezzo ma in
uno dei poli opposti di questa tensione.
La
speranza escatologica per gli anabattisti quindi non è soltanto attesa paziente
del nuovo eone, ma preparazione attiva al nuovo ordine nell'ambito della fratellanza,
che si sforza di vivere nella sua pienezza l'etica del Regno. La comunità dei
credenti è vista così come una cittadella di giustizia in mezzo ad un mondo
iniquo, un avamposto in territorio nemico del Regno che viene.
5.
Comunità ordinata e disciplinata
Quanto
abbiamo visto sino a questo punto ci permette una maggior comprensione del
concetto che la chiesa è una comunità « santa ». Abbiamo veduto come la «
santità » venga prevalentemente concepita come aderenza all'etica sociale del
Regno e quindi come un modo di vivere di cui la comunità come un tutto si sente
responsabile.
Perciò
non c'è da sorprendersi che gli anabattisti, a torto reputati degli anarchici,
siano prevalentemente orientati verso un tipo di comunità ordinata e
disciplinata, cercando un difficile e spesso risicato equilibrio tra le spinte
antitetiche che, specie alle origini, animavano il movimento. Non era difatti
impresa facile conciliare la libertà individuale del credente, senza di cui non
poteva avere spazio la libertà dello Spirito Santo, con l'esigenza dell'unità e
della solidarietà dei fratelli, il tendenziale spiritualismo di molti con la
necessità di avere nella Scrittura un punto di riferimento oggettivo e sicuro,
la natura carismatica dei ministeri con il diritto della comunità di riserbare
a se stessa come un tutto le scelte e le decisioni.
È un
fatto che sin dagli inizi del movimento troviamo delle Gemeindeordnungen, degli
«Ordinamenti comunitari». Una Gemeindeordnung sono sostanzialmente gli Articoli
di Schleitheim, del 1527, miranti in modo esplicito a mettere un freno ad una
male intesa «libertà in Cristo» che poteva compromettere la qualità e l'unità
della testimonianza comunitaria, ed a fornire alcuni princìpi inderogabili di
condotta interna ed esterna a cui tutti i membri della comunità avrebbero
dovuto attenersi una volta che fossero stati. accettati.
Poche
e talvolta anche saggiamente elastiche sono le norme che mirano a garantire
l'ordine interno della comunità a definire la natura dei ministeri, la forma
dell’elezione dei ministri, il modo in cui s’accede al battesimo e alla Santa
Cena, o quel che si deve fare nelle riunioni. Non v'è traccia di liturgia.
nessun accenno di regolamentazione dei rapporti tra varie comunità, di
organismi inter o super-comunitari.
Costante
invece e sempre sottolineato con energia è il principio che la comunità ha il
diritto ed il dovere di garantirsi contro chi deroga dalla sua linea dottrinale
e morale ricorrendo a due misure disciplinari: l'ammonizione fraterna prima ed infine
la scomunica e l'espulsione. In breve, gli anabattisti ritenevano che
l'adesione alla comunità cristiana fosse una cosa molto seria ed impegnativa,
sia sotto l'aspetto dottrinale che pratico. Era per essi un assurdo
intollerabile che un membro della comunità potesse su cose essenziali avere
idee proprie ed in contrasto con la .linea comunitaria e soprattutto
pretendesse di condurre la vita che gli pareva. Secondo essi, una .comunità
cristiana che vive in un mondo empio e peccatore non può non avere una
testimonianza univoca ed inconfondibile.
Ci
sarebbe naturalmente non poco da dire sulle conseguenze spesso negative cui
dette luogo l'uso (e spesso l'abuso) del principio disciplinare, specialmente
dopo il 1535 e soprattutto nel ramo mennonita del movimento, ma è indubbio che
la disciplina comunitaria ha contribuito largamente a garantire alcune
fondamentali linee di pensiero comune ed un’estrema coerenza di condotta in
quanti militavano nel movimento. Malgrado le molte ed aspre critiche che per questo
concetto della chiesa si attirarono da più parti, ma soprattutto' dagli
spiritualisti, gli anabattisti non rivelarono mai il più piccolo dubbio sulla
necessità della disciplina comunitaria. Del resto il loro punto di vista trovò
ben presto una conferma nel calvinismo, al quale la dottrina della chiesa
disciplinata è essenziale non meno che all'anabattismo.
Calvino
pretendeva anzi che su questo punto gli anabattisti lo avessero malamente
copiato, non ponendo mente al fatto che quando comparivano i Sette Articoli di
Schleitheim (1527) egli era poco più che un ragazzo: « Che la scomunica sia una
buona e santa istituzione non lo neghiamo, e confessiamo che nella chiesa non
solo è utile ma anche necessaria. Sì, ciò che questi disgraziati ed ingrati
insegnano in merito lo hanno imparato da noi, soltanto che essi con la loro
ignoranza e presunzione hanno guastato la dottrina che noi riteniamo pura
».
È
legittimo quindi chiedersi se la comunità disciplinata degli anabattisti,
anziché costituire il lato negativo ed antipatico della loro concezione della
chiesa, non fosse una prima risposta, per quanto imperfetta, ad un problema che
nell'ambito del protestantesimo non è stato sempre ed ovunque sentito in tutta
la sua gravità.
© UGO
GASTALDI
UGO
GASTALDI
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