1.5.13

La Chiesa nell'anabattismo

  La nascita dell’anabattismo segna anche la nascita del congregazionalismo e della separazione tra lo Stato e la Chiesa.
  Per gli anabattisti la Chiesa non è un’istituzione, tanto meno autoritaria e gerarchica, ma è la Comunità nella quale si vive e annuncia il messaggio di Gesù, il Vangelo. 
Salvezza e rigenerazione per Grazia consentono alla persona una nuova vita che è anche messaggio di fronte alla malvagità del mondo. E’ una vita al seguito di Gesù e illuminata dallo Spirito di Dio, il medesimo Spirito che ci ha invitati ad accogliere la sua offerta di salvezza e che ci istruisce continuamente sia singolarmente che comunitariamente. 
La Chiesa, in ogni momento ed in ogni parte del mondo, nasce e vive sulla Parola di Dio, senza necessità di una autorizzazione di qualsivoglia autorità.
  


  L'ECCLESIOLOGIA ANABATTISTA
di
Ugo Gastaldi




Parte prima

PRINCIPI ISPIRATORI FONDAMENTALI



1 - Una chiesa santa

La concezione anabattista della chiesa presuppone senza dubbio il concetto di discepolato, che a sua volta è inseparabile da quello di «rigenerazione» (Wiedergeburt), in cui gli anabattisti compendiano la loro dottrina della salvezza.
Giustificazione e salvezza sono espressioni che in realtà non ricorrono quasi mai nei loro scritti, e questo è assai significativo. Secondo gli anabattisti, difatti, è la possibilità che il cristiano, attraverso l'opera rigeneratrice della grazia, diventi un uomo totaliter alter , una «nuova creatura», a rendere concepibile e possibile una «vera chiesa ». Ma d'altra parte per essi (con la sola eccezione di un'esigua ala spiritualizzante) non è meno vero che non esistono veri cristiani al di fuori di una autentica comunità cristiana. Perché l'appartenenza del cristiano a Cristo si completa nell'appartenenza alla sua chiesa, in quanto soltanto nella comunità dei fratelli il cristiano vive interamente la sua fede e fa l'esperienza concreta del discepolato.

Sarebbe inesatto quindi dire che nel pensiero anabattista la condizione di una chiesa «santa» stia nel fatto che la costituiscono dei cristiani «santi», perché la stessa comunità cristiana è un'esperienza santificante, una condizione della santificazione dei cristiani. Con questo ci troviamo già di fronte ad uno dei concetti fondamentali dell'ecclesiologia anabattista: la vera chiesa di Cristo è una chiesa santa, ma lo è perché in essa e per essa, mediante la fede in Cristo, si continua l'opera rigeneratrice e santificante della grazia. Quest'opera, è bene sottolinearlo, non ha altra condizione che la fede e non sarebbe possibile se la chiesa non fosse costituita da veri credenti in Cristo. È questo una specie di concetto chiave che ci permette di accedere a tutti gli altri, senza il concorso dei quali, d'altronde, esso non sarebbe interamente comprensibile. È impossibile, soprattutto, separare il concetto della santità della chiesa da quello della sua vocazione nel mondo. Per cui l'affermazione anabattistica della chiesa si compendia in questo elementare concetto biblico: la chiesa di Cristo è chiamata ad essere, in un mondo peccatore, qualcosa di totalmente diverso da esso, cioè una chiesa santa.

Questo concetto implica da una parte il rifiuto del Corpus Christianum, cioè della collusione della chiesa con la società storica, e quindi la denuncia dell'illusione, sempre risorgente nella storia della chiesa, che il mondo possa essere cristianizzato attraverso la cristianizzazione delle istituzioni, della cultura, del costume, Ma dall'altra esso implica la profonda fede che sia possibile costituire, in un mondo peccatore, una comunità cristiana che sia la sua contraddizione, testimone effettiva di una vita nuova e strumento idoneo dell'opera che Dio vuol compiere nel mondo.

L'anabattismo, in breve, è stato questa fede e questo acuto senso della vocazione comunitaria del cristiano. Non solo il cristiano come singolo, ma i cristiani come chiesa sono chiamati a rispondere di quel che sono nel mondo.

2 - La responsabilità individuale

La condizione di questa responsabilità della chiesa nel mondo è tuttavia sempre la responsabilità individuale del cristiano, all'interno e all’'esterno della comunità. Non si comprenderebbe altrimenti l'intransigente insistenza con cui gli anabattisti hanno affermato la necessità del battesimo dell'adulto.

La si può comprendere anche meglio se si tiene presente che gli anabattisti non concepiscono la chiesa come una istituzione, ma come un'unione di persone, che sono un «corpo» esclusivamente per la natura dei rapporti interpersonali che tra di essi si vengono a stabilire. Ma alla base dei rapporti interpersonali, e quindi della comunità, sta il singolo cristiano, sta il suo rapporto con il Cristo, un rapporto che è innanzi tutto e fondamentalmente personale, quindi non mediato, ma diretto e responsabile.

In questo gli anabattisti hanno accettato la grande lezione di Lutero e sono dei buoni protestanti. Anche se concepiscono l'esperienza comunitaria come un perfezionamento del rapporto personale con il Cristo, essa ha sempre la sua condizione in ciò che avviene nell'individuo. Non deve sorprenderci perciò che uno storico come Hillerbrand si ostini ad affermare, in contrasto con Fritz Heyer, FrankIin Littell ed altri che seguono la loro linea di pensiero, che nell'anabattismo è presente una fondamentale ed insuperabile componente individualistica e che la sua caratteristica essenziale non sia la concezione della chiesa, ma un particolare concetto del rapporto personale del credente con Dio.

Individuo e comunità nell'esperienza anabattista restano in realtà due poli in perenne tensione, come ci dimostra nella storia del movimento il contrasto sempre risorgente di spiritualismo e congregazionalismo.

3 - Salvezza personale, ma non senza il fratello

Al fondo di questo rapporto personale con il Cristo troviamo la fede nella sua opera e l'esperienza della grazia. L'anabattista non nega quindi la giustificazione per fede ma diffida della formulazione teologica che ne hanno dato i Riformatori e ad essa preferisce la schietta lezione che emerge dall'intero contesto neotestamentario, in cui risulta senza equivoci che la grazia non solo salva il peccatore per la sua sola fede, ma per questa stessa sola fede lo rigenera anche, rendendolo così capace di fare la volontà di Dio e di essere un discepolo di Cristo.

Ma questa fede in Cristo, che salva e rigenera la persona, l'anabattista non la chiude in una esperienza meramente individuale ed interiore, oltre la quale non sono che rapporti esteriori e negativi con gli altri. Egli sa che fare la volontà di Dio ed essere discepolo di Cristo vuol dire amare e vivere per gli altri. L'anabattismo, senza rinnegare la dimensione individuale della fede in Cristo, rivaluta in pieno e quasi riscopre la sua dimensione comunitaria. Cogliere l'essenza dell'anabattismo è in fondo cogliere l'interdipendenza di queste due dimensioni, il nesso necessario e determinante che esiste tra discepolato e fratellanza. 

Mi sembra che questo concetto sia espresso con notevole vigore (e con tutti i rischi di una forte sottolineatura) nelle seguenti parole di Robert Friedmann: « .. .l'idea centrale dell'anabattismo, un'autentica dinamite nell'età della Riforma, io la vedo in questo, che uno non può trovare salvezza se non si preoccupa del suo fratello, che "questo fratello" effettivamente conta nella vita personale ... Questa interdipendenza degli uomini conferisce alla vita ed alla salvezza un nuovo significato. Non è la sola fide che conta (per la quale fede non è necessaria alcuna organizzazione ecclesiastica), ma è la fratellanza, questo intimo interesse degli uni per gli altri che era comandato ai discepoli di Cristo come la via al regno di Dio. Questa fu la scoperta che rese l'anabattismo così potente e rilevante, nell'intera storia della chiesa ». (1)

Questo può spiegare anche il carattere insieme volontario ed obbligatorio che nell'anabattismo assume l'adesione alla chiesa. Essa è volontaria, perché è il risultato di una decisione personale, libera e responsabile, compiuta esclusivamente in ubbidienza al Cristo e sotto l'azione dello Spirito. Di qui l'importanza che ha il battesimo degli adulti, e nello stesso tempo la condanna di ogni costrizione esteriore in materia di fede. Ma questa adesione nello stesso tempo è obbligatoria, perché il cristiano non può esimersene, dal momento che una professione di• fede cristiana puramente individuale e privata non ha senso, in quanto essere discepoli di Cristo implica necessariamente il vivere nella fratellanza.

4 - La comunità come fratellanza

Questo concetto di «fratellanza» non subisce una limitazione, che a qualcuno potrà sembrare deludente, nel fatto che la fratellanza concreta per gli anabattisti è la comunità cristiana.

Chi ha un poco di familiarità con la letteratura anabattistica - e nessuno a mio parere ne ebbe quanto lo storico che ho citato - sa quanta parte vi abbia il tema dell'amore totale del prossimo. V'è nell'anabattismo una vena di caldo umanitarismo, che nulla ha da invidiare a quello dei quaccheri. Tra le figure più familiari e care del martirologio anabattista, v'è quella dell'anabattista olandese che, inseguito sulla laguna ghiacciata dai suoi persecutori, si ferma per salvare uno dei suoi inseguitori che era sprofondato sotto una spaccatura del ghiaccio, e viene così catturato. Molti di voi ricorderanno anche la figura, immaginaria questa ma non del tutto, dell'anabattista del Candido volterriano, che salva il suo aguzzino che sta per affogare e paga con la vita quest'atto generoso.

Per gli anabattisti l'amarsi gli uni gli altri, che il Cristo esige dai suoi discepoli, un amarsi operoso e non meramente contemplativo, non ha senso e non è possibile che nella fratellanza cristiana e nella più completa sottomissione alla Parola.

D'altra parte, per potersi amare gli uni gli altri, e vivere effettivamente e costruttivamente nell'amore sino al sacrificio delle proprie cose e di se stesso, come non basta la fede nella salvezza personale, non basta nemmeno l'essere passati per la nuova nascita ed essere entrati in una fratellanza. Bisogna che in questa fratellanza ci si senta membra del corpo di Cristo e sia lo Spirito 'Santo stesso a dar vita all'agàpe fraterna. Gli anabattisti restituiscono, attraverso la loro visione della fratellanza cristiana e la loro esperienza comunitaria, un significato concreto al concetto neo testamentario della chiesa come corpo di Cristo.

5 - Consapevolezza della chiesa

E' comune alla grande maggioranza degli anabattisti la profonda convinzione di realizzare nelle loro comunità la vera chiesa di Cristo. Le eccezioni si contano soltanto nelle frange spiritualizzanti. E una convinzione che per molte buone ragioni può essere tacciata di presunzione, ma che comunque va compresa.

Nella sua confessione di fede del 1560 un missionario hutterita, Claus Felbinger, dice ai suoi giudici: «Io non ho lasciato la vera chiesa cristiana: mi sono anzi unito ad essa ... Non ho alcun dubbio di trovarmi nella vera comunità e comunione dei santi... Così non ho lasciata la vera chiesa cristiana, ma piuttosto la congregazione cosiddetta "cristiana" dei peccatori e degli uomini ingiusti, ecc.» Affermazioni di questo genere ricorrono frequentemente e possono trarre in inganno. In realtà gli anabattisti ritengono di costituire la «vera chiesa cristiana» non tanto per la santità che in essa riescono a realizzare, quanto per il fatto che la loro comunità non ha altro fondamento che Gesù Cristo.

E questa una affermazione che ritorna insistentemente negli scritti e nelle testimonianze degli anabattisti (Menno Simons la pone all'inizio di tutte le sue opere, citandola nel testo di I Cor. 3:11), e sta a significare che non c'è vera chiesa se non c'è, con la confessione di fede in Gesù Cristo, anche la realtà del Cristo vivente ed operante nella vita del singolo credente e della comunità. E' questo Cristo effettivamente creduto e vissuto che, costituisce dall'interno delle coscienze individuali il vincolo della fratellanza e della solidarietà cristiana, l'unità degli spiriti senza della quale non v'è né comunione né comunità. Comprendiamo quindi come per gli anabattisti non avesse senso una «riforma» della vecchia chiesa, e non avessero ragione le riserve scettiche degli spiritualisti, che, considerando vano ogni tentativo di ricollegarsi alla chiesa apostolica, avrebbero voluto una nuova rivelazione ed una nuova autorevole fondazione della chiesa. Per gli anabattisti la chiesa è una realtà che può sussistere e cominciare in ogni punto dello spazio ed in ogni momento del tempo, perché si fonda sul Cristo della fede e dell’amore fraterno, senz'altra mediazione ed autorità che quella pura, semplice e sola della sua Parola.

Sarebbe errato quindi pensare che gli anabattisti si proponessero semplicemente l'imitazione di un modello di chiesa, qual è la chiesa del Nuovo Testamento, come se il problema della «vera chiesa» fosse soltanto un problema formale e a fornire un fondamento alla sua costruzione bastasse l'autorità esteriore della Sacra Scrittura. La chiesa è l'opera dello Spirito Santo, è il frutto della presenza del Cristo nella vita dei suoi discepoli.

Tracciati così sommariamente i princìpi fondamentali cui gli anabattisti si ispirano nella loro realizzazione della chiesa, vediamo un poco più da vicino come essi abbiano sentito ed espresso la sua vita, la sua pratica realtà, in una parola che tipo di concreta comunità essi si siano proposti di attuare.

Dovremo quindi brevemente considerare la comunità anabattista sotto due aspetti:

1) quello del rapporto tra credenti all'interno della comunità;
2) quello del rapporto di questa comunità con il mondo. ......


© UGO GASTALDI
UGO GASTALDI

Da: AA.VV., Il Dibattito su Anabattismo e Riforma - Chiesa e potere, Editrice Claudiana, 1973

NOTE:
(1) Robert FRIEDMANN, On Mennonite Historiography, "Mennonite Quarterly Review", XVIII (1944), 121.

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