16.5.08

Parola scritta e Parola incarnata



Gesù disse e dice :

Io non ho dottrina
la mia dottrina non è mia ma di colui che mi ha mandato (GV 7:16)
...il Padre mi ordina ciò che devo dire (GV 12:49)


Si proprio LUI, Maestro per eccellenza, Sapienza incarnata, Parola vivente, Unto dallo Spirito Santo, Lui non ha dottrina !

Io (Davide), invece, ho diverse dottrine, le custodisco gelosamente e spesso non tollero che qualcuno osi metterle in discussione…. come sono diverso da QUEL MAESTRO…. quanta strada devo fare per essere simile a Lui! Tuttavia, cari Fratelli, siamo chiamati ad essere come il Maestro, santi come Lui è santo e quindi separati dal “nostro” per avere il SUO.

Questa sera più che predicare, mi sento di pregare il Signore perché ognuno di noi faccia un passo avanti all’interno del Regno di Dio passando dalla propria dottrina alla “ Non dottrina “ Per far questo passo non dobbiamo aggiungere particolari virtù ma cedere allo spirito Santo che vuole togliere, si togliere per mettere, morire per vivere. Per raggiungere Cristo è necessario scendere e non salire, perdere e non guadagnare. Continuando il cammino cristiano, molte cose utili e necessarie durante l’infanzia cristiana, diventano incompatibili verso la maturità; dottrine e dottrinette di “ ieri “ potrebbero essere un impedimento per un corretto cammino nell’ oggi del Signore, dove il Suo Corpo ha il privilegio di manifestare il RISORTO più che contrassegni religiosi, variamente colorati.
E’ dunque necessario essere consapevoli che la vera dottrina, la sana dottrina, la migliore dottrina, consiste nel non aver dottrina e procedere per fede sapendo che nel momento del bisogno Dio ci darà la Sua dottrina adatta alle circostanze, come pane quotidiano o come cibo adatto al momento vissuto. Come Gesù, facciamo della dottrina di Dio la nostra dottrina credendo che essendo Dio il nostro pastore, nulla ci mancherà, di ciò che occorre per noi, per il nostro prossimo o per la comunità dove si predica. Lo spirito Santo è il dottore che conoscendo le varie patologie dell’onesto credente, darà il farmaco adatto caso per caso. Dio è il vero infallibile insegnante, il SUO insegnamento diventi la nostra dottrina, la dottrina di Dio, di Dio addirittura ! Il passaggio dal nostro al Suo non è facile ma è fattibile, dunque chiniamo tutti il capo davanti al Signore e chiediamo che i Fratelli di Petronà, che l’intera comunità, abbia come insegnamento fondamentale quello di Dio, insegnamento gestito dallo Spirito Santo e dato al credente nel momento del bisogno. Dio metterà nelle nostre bocche parole adatte, suggerirà atteggiamenti opportuni, la Parola si farà carne, per edificare la Sua Chiesa dentro e fuori di noi.

(Tratto da una Meditazione del fratello Davide Galletta alla comunità di Petronà ( CZ ) - Autunno 2008)

La Bibbia: una gabbia per Dio?
Una meditazione del fratello Davide Galletta

No, non è un paradosso, ma una tremenda realtà: essa purtroppo si verifica ogni volta che un credente confina Dio nei ristretti limiti del testo biblico. L'antico salmista, rivolto al Signore, esclamava con gioia: "La tua parola è stabile nei cieli" (Salmo 119:89). Qui, evidentemente, si tratta di una parola eterna, immutabile, viva ed assoluta. Nel principio, infatti, quando ancora la Bibbia non era stata scritta, questa Parola già esisteva e operava perchè "la Parola era con Dio e la Parola era Dio" (Gv. 1:1).

Ancora oggi essa giunge a noi come "pane quotidiano", come cibo spirituale somministrato a tempo debito e con saggezza dallo Spirito Santo. La bibbia è un prezioso dono di Dio: essa è parte di quella Parola che era nel principio. Ma nello scorrere del tempo, attraverso i secoli, la Parola trova la sua migliore sintesi nell'Uomo di Nazareth, vero uomo e vero Dio. Egli è la Parola vivente eterna e immutabile divenuta carne! Gesù Cristo, con la sua presenza spirituale, parla nei secoli per mezzo della Bibbia, ma anche per mezzo della natura e, soprattutto, per mezzo di coloro che Lo accolgono in se stessi con fede. Anzi, tali persone rappresentano il mezzo privilegiato attraverso cui Egli si esprime. Infatti la Parola si rende visibile e concreta (si fa "carne") attraverso la vita del discepolo e trasferisce così all'umanità preziosi consigli attraverso gli strumenti naturali più idonei e opportuni.

E' dunque assurdo e pericoloso tentare di relegare Dio nella Bibbia e privarsi così del dialogo diretto e prezioso con la Parola vivente.Nella solenne presentazione del proprio Figlio all'umanità, il Padre afferma: "Questo è il mio diletto Figlio, ascoltatelo" (Mt. 17:5). Il grande desiderio del Padre è quindi che noi ascoltiamo Lui, e che non ci limitiamo a leggere le Scritture. Gesù è con noi tutti i giorni (Mt. 28:20); Egli ha una bocca per parlare, ha occhi per vedere, ha piedi per camminare... Pertanto siamo chiamati a riconoscerlo, ad ascoltarlo, a seguirlo...

E' poi scritto che Gesù disse ai suoi discepoli: "Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinchè vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli" (Mt.5: 16). E ancora: "Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi respinge me" (Lc. 10:16).Ogni credente deve dunque lasciare vivere in se stesso Gesù Cristo, per offrire al prossimo la possibilità di vedere Lui e toccare Lui, e non dei semplici contrassegni religiosi! La gloriosa realtà del Cristo risorto deve risplendere e manifestarsi in chiunque crede e diventa discepolo di Gesù.

E' quindi necessario maturare spiritualmente per poter passare così dal "Dio con noi" al "Dio in noi". Occorre interiorizzare realmente la Bibbia, la Parola scritta in linguaggio umano, per farla diventare "Parola incarnata e vivente". Non dobbiamo dimenticare, infatti, che se la Parola di Dio non dimora in noi, essa non produce alcun frutto, esattamente come un seme non può germogliare se non dimora nella terra.E' evidente che fra la Scrittura e Gesù Cristo esiste una meravigliosa armonia, ma con dimensione e ruoli diversi: la Scrittura è soprattutto testimone mentre Gesù è il Giudice e come tale si colloca al di sopra del testimone. Apriamo quindi la Bibbia con umiltà e rispetto, leggiamola alla luce di Cristo e non guidati dai pregiudizi. Non dobbiamo mai dimenticarci di chiedere a Dio di aprire la nostra mente e disporre il nostro cuore prima di iniziarne la lettura (Lc.24:45). Senza tali premesse si corre il rischio di abusare della bibbia riducendola a strumento da usare a nostro capriccio o riducendola al ruolo di "testamento", presumendo la morte del "Testatore" Gesù non ha delegato la Bibbia a sostituirlo. Al contrario, è solo alla luce dello Spirito di Cristo che possiamo comprenderla.Quando la Bibbia finisce per sostituirsi a Dio, quando il suo lettore non sente più il bisogno di dialogare e confrontarsi col Dio eternamente presente, si finisce per abusare di essa fino a farla diventare simile a una gabbia in cui rinchiudere Dio.


USO E ABUSO DELLA BIBBIA
Cesare Soletto
(Associazione "Comunità Cristiane")

- Prima parte -
INTRODUZIONE

Ero stato invitato ad un matrimonio e mi trovavo ad assistere in una chiesa alla relativa liturgia. Il pastore della comunità che officiava il rito, al momento di sancire l’unione degli sposi pronunciò prima gli articoli del Codice Civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi nonché gli altri obblighi ai quali i due erano vincolati e successivamente espose il sermone basato sulla lettera agli Efesini (1) nel quale sviluppò il tema dei reciproci rapporti dei coniugi: l’uomo é il capo della famiglia e deve rispettare la moglie mentre quest’ultima deve obbedire alle decisioni del marito. E’ evidente che tale modo di argomentare non teneva in alcun conto del contesto storico-culturale nel quale queste indicazioni erano state formulate, non teneva in alcun conto della “gerarchia delle verità” contenute nella bibbia né della globalità del messaggio neotestamentario sull’argomento alla luce dell’ insegnamento di vita di Gesù: il marito e la moglie sono uguali davanti a Dio per cui colui che in casa comanda è colui che serve.

L’interpretazione dei ruoli coniugali che il pastore credeva di avere chiaramente definita dalle indicazioni della lettera neotestamentaria altro non era che un modo di adeguare il testo, di incanalarlo nella precomprensione che lui aveva sull’ argomento, quest’ ultima mutuata dagli “standard” (2) della Confessione religiosa alla quale apparteneva e dalla relativa tradizione storico-spirituale. Confesso che in quei momenti mi sentivo molto a disagio soprattutto quando incrociavo lo sguardo di alcuni convenuti che erano lì in una chiesa dopo tanti anni di assenza e che erano in attesa di un messaggio di speranza e di libertà. Leggevo chiaramente la perplessità e la delusione di chi constatava che gli articoli del Codice Civile sui diritti umani erano all’avanguardia rispetto alla personale interpretazione che il pastore aveva del testo e che peraltro presentava come un messaggio di liberazione di Dio a favore degli uomini. Questo è un classico esempio di come un uso della bibbia si trasformi, magari in buona fede come nella circostanza narrata, in un suo abuso in quanto l’applicazione pratica del messaggio ha come conseguenza non una crescita spirituale dell’uomo verso l’immagine di Dio nella libertà ma una regressione verso la disumanizzazione nella schiavitù, e fintantoché l’abuso della bibbia è in buona fede, tale situazione é sopportabile e genera una speranza nel cambiamento ma quando tale abuso procede da assenza di riflessione causata dall’abitudine a riferirsi a schemi predefiniti di impostazione delle problematiche a difesa di interessi confessionali allora é doveroso parlare, “opportunamente e inopportunamente”. (3)

Il passato come purtroppo il presente sono costellati abbondantemente da situazioni di questo tipo per cui non é una cosa tanto strana (4) parlare di abuso della bibbia. La chiesa si é sempre servita della bibbia anche se non nei termini e nelle proporzioni che noi oggi diamo a quella realtà che é rappresentata da questa parola. Un cristiano, una comunità senza la bibbia sarebbe un qualche cosa di deficitario (5). E’ anche vero però che i cristiani hanno talvolta applicato i testi biblici alle varie situazioni non per servire Dio e il prossimo ma per servire sé stessi. Se infatti leggiamo nel “Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea” di De Felice-Duro la definizione della parola “abuso” ci accorgiamo che essa risponde a quanto abbiamo detto. Più precisamente leggiamo due definizioni la prima delle quali afferma:“Fare un uso eccessivo o illecito di qualche cosa” mentre la seconda: “Profittare, sfruttare a proprio vantaggio e colpevolmente”. Nella vita dei credenti il pericolo dell’abuso della bibbia può essere sempre presente anche se è necessario distinguere fra un abuso inoffensivo (a volte salutare) (6) ed un abuso nocivo. La tentazione dell’abuso della bibbia é sempre presente in ciascun cristiano; a volte avviene automaticamente senza che chi lo mette in atto se ne renda conto, a volte avviene per ignoranza, a volte avviene per esagerazione (7). E’ necessaria una seria vigilanza di sé tramite l’autoesame e quello degli altri. Anche chi scrive dell’ abuso della bibbia potrebbe abusarne.

L’uso e l’abuso della bibbia sono da mettere in relazione con diversi fattori che ne costituiscono i presupposti. Non si può infatti parlare del nostro tema se non abbiamo presenti alcuni punti di riferimento e cioè:

un certo concetto di ispirazione, di canone, di rivelazione e degli altri concetti teologici simili
le confessioni di fede di ogni gruppo religioso con le relative tradizioni dottrinali, spirituali ecc...
le metodologie di studio che fanno correre il rischio di una lettura forzata del testo: il metodo storico-critico, quello linguistico oppure la lettura psicanalitica, quella femminista, fondamentalista, materialista ecc..
le ideologie, nel senso che a questa parola dà Lauth e cioè “interpretazione pseudo-scientifica della realtà al servizio di una finalità pratico-sociale per legittimarla a posteriori”
le strutture personali psichiche e i condizionamenti culturali
le istituzioni ecclesiastiche e le strutture organizzative delle stesse
la certezza di possedere la verità unita alla certezza che l’altro é nell’ errore
la soggettività spacciata per oggettività
il considerare il testo biblico infallibile oppure no
la rappresentazione che l’ uomo ha di Dio e del rapporto fra i due in termini di contrapposizione o meno
il considerare il prossimo come persone che possono sbagliare ma che vogliono crescere oppure come persone eternamente incapaci di progredire e quindi bisognose di essere guidate
il grado di autorità di cui é rivestita la bibbia nella concezione del lettore
il valore che si dà ai due testamenti cioè se debbano essere considerati normativi allo stesso modo oppure no
il leggere parzialmente invece che totalmente la bibbia
l’uso del testo biblico come arma per colpire l’altrui diversa opinione.

- Seconda Parte -
ESEMPI DI USO ED ABUSO DELLA BIBBIA

a) dalla bibbia stessa, evidenziando cioè il modo di utilizzare l' Antico Testamento da parte degli scrittori del Nuovo Testamen­to.
b) dalla storia di qualche confessione, in relazione ad un evento o problematica si­gnificativa.
c) dalla nostra situazione presente, appog­giandoci a varie applicazioni che alcune comunità fanno della bibbia nella vita dei loro membri.

Se dovessimo soffermarci diffusamente su tutti gli episodi del passato e del pre­sente nei quali si è abusato della bibbia, non basterebbe un intero libro, per cui fa­remo soltanto alcuni esempi.
Per quanto riguarda il primo punto lo spazio a nostra disposizione non consente una trattazione completa anzi dovremo es-sere piuttosto stringati. Dovremmo infatti verificare per ogni autore del Nuovo Te­stamento il suo modo di citare le "Scrittu­re" e l'applicazione pratica che ne fa e questo perché tale applicazione non è uni­forme bensì differenziata. Ogni autore neo-testamentario cita l' Antico Testamento in un modo suo proprio, particolare. Comin­ciamo con Mc. 4:11-12 dove la profezia di Is. 6:9-10 è utilizzata per spiegare il termi­ne "parabola" dandogli un significato di discorso enigmatico, incomprensibile ai non iniziati, causa quindi di perdizione, distanziandosi molto quindi dal significato che del termine dava Gesù e cioè discorso molto semplice e chiaro, comprensibile anche dai bambini. L'applicazione pratica di tutto ciò è che l'opposizione alla predi­cazione cristiana del tempo successivo alla risurrezione di Gesù viene retrodatata al suo tempo e giustificata alla luce della teo­ria dell' indurimento di Israele: tale indu­rimento è voluto da Dio per permettere la conversione dei Gentili poiché se Israele non fosse indurito i pagani non potrebbero convertirsi (vedi Rm 11). Ciò che rappre­senta un problema causato probabilmente anche dalla chiesa stessa, si trasforma in un evento che Dio ha previsto e che è giu­stificato teologicamente con la citazione neotestamentaria.
Per quanto riguarda il secondo punto è ampiamente risaputa la protesta della criti­ca marxista nei confronti della chiesa che, abusando del testo biblico, giustificava la disumana condizione di tante persone po­vere come voluta ineluttabilmente da Dio, valorizzandola in senso di opera meritoria per accedere al pieno godimento nell'aldi­là. Al riguardo sono note le celebri frasi di Marx ("la religione come oppio del popo­lo") e di Lenin ("la religione come oppio per il popolo"). Un cenno particolare meri­ta l'abuso che la quasi totalità delle chiese fecero della bibbia in relazione al proble­ma della schiavitù. Esse si pronunciarono a favore di questa pratica avallandola con la citazione e il commento dell'episodio dell' ubriacatura di Noè. "....Dio per bocca di Noè ha maledetto Cam nel figlio Cana­an e lo ha condannato ad essere l' ultimo degli schiavi dei suoi fratelli; la maledi­zione continua e si attua nelle persone di colore che sono i discendenti di Cam. Co­me in Gn 9:24-27. Quindi praticare la schiavitù non è che un assecondare la bib­bia. "Sociology for the south" concludeva i suoi argomenti asserendo: “Noi abbiamo comunque quasi tutta l'autorità umana e divina dalla parte nostra della questione. La bibbia in nessun punto condanna e sempre riconosce la schiavitù." (8). Questa situazione è continuata fino a qualche an-no fa per esempio in alcune chiese rifor­mate del Sudafrica le quali giustificavano il sistema dell'apartheid (la separazione delle razze negli ambiti della vita sociale e la diversità di trattamento per quanto at­tiene i diritti civili) con le stesse motiva­zioni biblico-teologiche, giustificavano la disumana situazione della maggior parte della popolazione di uno Stato la cui costi­tuzione inizia per ironia della sorte così :"Volendo essere obbedienti alla volontà di Dio...". Questa situazione è durata fino a qualche tempo fa. Con la stessa motiva­zione dell'esempio precedente, ciò si è ve­rificato anche nel gruppo dei Mormoni nel quale i credenti di colore non avevano gli stessi diritti dei credenti di pelle bianca. Possiamo anche ricordare l' applicazione di Origene del detto evangelico di Mt 19:12. Lo applicò alla lettera a sè stesso per cui essere eunuchi per il Regno dei Cieli significò per lui castrarsi effettiva­mente. Come non citare l' esecuzione tra­mite il rogo dei cosiddetti "eretici" avendo come riferimento Gv 15:6 dove i tralci buoni sono coloro che sono ossequienti all' autorità della chiesa cattolica mentre i tral­ci che non portano frutto e che vanno quindi bruciati sono coloro che non si sot­tomettono a ciò. E che dire del significato addotto a Mt. 13:24-30 quando il cristiane­simo divenne religione di stato e tutti gli altri culti vennero dichiarati illegali: il chiaro significato riconducibile alla tolle­ranza viene cambiato nel suo contrario. Il grano e la zizzania come situazioni morali vengono cambiati come vera dottrina (grano) ed eresia (zizzania) per cui invece di attendere l' ultimo giorno nel quale gli angeli toglieranno la zizzania, la si deve togliere (bruciare) subito perché non dan­neggi il buon grano (9). Siamo chiaramen­te di fronte a una trasformazione del signi­ficato originario del testo alla luce dell' i­deologia sostenuta da chi lo legge. La leg­ge ermeneutica affermante che si tira fuori dal testo ciò che vi mette dentro l' interpre­te, calza a pennello in questo caso. La stessa cosa può dirsi per Agostino di Ippo­na che, nella lettera 129 a Marcellino e nella 173 a Donato, per giustificare la conversione forzata degli eretici cita Lc. 14:23 affermando che Gesù vuole che venga usata la forza allo stesso modo del padrone del convito che dice ai suoi servi di andare per le strade e costringere i mendicanti ad entrare nella sala del ban­chetto. E' il famoso "compelle intrare" (10). La lista potrebbe continuare con le guerre di religione, le crociate, la poligamia ecc.
Per quanto riguarda il terzo punto possiamo cominciare con l’abuso operato sui testi a proposito della demonizzazione della malattia psichica. In certi ambienti, diversi disturbi psichici vengono interpretati come un problema spirituale che ha all’origine una colpa di chi è affetto dal problema o dei parenti. Si arriva persino a diagnosticare una possessione demoniaca ed a operare il relativo esorcismo. A prescindere dal problema su chi abbia il diritto, il mandato, l’ autorità spirituale, la competenza adeguata e il discernimento per stabilire che in un disturbo psichico sia presente un problema di questo tipo, è manifesta quasi sempre in queste situazioni un'aggressività, una violenza da parte del presunto liberatore nei confronti del disagiato nonchè un esibizionismo non voluto insieme alla certezza dell’ “esorcista” di essere lo strumento di Dio. In 2 Gv 9-11 viene indicato un atteggiamento da tenere nei confronti di chi ha una dottrina diversa da quella professata dalla cerchia dello scrittore e cioè, nei confronti di costoro deve essere operato un distacco al punto da non riceverli in casa. Questo è un invito a nozze per coloro che sono intolleranti in quanto si sentono avallati nel loro atteggiamento da questo testo neotestamentario. L’ abuso della bibbia passa attraverso il prendere alla lettera ed estrapolando dal contesto le parole del vangelo relative all’essere veri discepoli di Gesù, motivo per cui il padre e la madre devono essere “odiati” per potere amare veramente Gesù (11) così come devono mettersi in secondo piano i doveri verso i genitori come quello di seppellire il proprio padre per potere adeguatamente seguire Gesù (12). Un comportamento non alla luce dell’ amore ma delle probabili aggressive dinamiche inconsce nei confronti delle figure genitoriali. L’abuso della bibbia passa attraverso l’applicazione della “scomunica” verso coloro che hanno sbagliato quando in tale situazione è presente la vena sadica avallata dal testo biblico (13). Lo stesso dicasi per l’interpretazione del bastone e della verga del Salmo 23 (14) come correttivo usato da Dio tramite la sofferenza per educare all’ubbidienza, alla luce quindi del masochismo. Cosa dire dell’applicazione delle indicazioni delle lettere neotestamentarie in merito al tacere delle donne durante il culto e della loro subalternità spirituale e pratica (15) e cosa dire degli abusi in merito al battesimo nello Spirito Santo dove i brani biblici vengono estrapolati dal contesto per appoggiare dottrinalmente delle esperienze particolari di glossolalia che non sono quindi normative e vincolanti per la ricezione dello Spirito. Si genera così un razzismo spirituale che divide i cristiani in due categorie.
Abusare della bibbia significa anche utilizzarla e rimandare ad essa per qualsiasi tipo di problema nonchè consigliarne la lettura esclusiva a scapito delle altre generando così un senso di stanchezza e di nausea. Ricordo una situazione del genere: una donna si sentiva profondamente in colpa perchè l’ennesima lettura della bibbia consigliatale, la stancava e la deprimeva per cui qualcun altro le consigliò saggiamente di non leggerla per alcuni mesi per disintossicarsi e di non sentirsi in colpa per questo. Vale anche il contrario: affermare che non è salutare spiritualmente leggere, informarsi, conoscere in profondità la bibbia perchè “...la conoscenza gonfia..." (16).
Abusare della bibbia significa anche proclamare solennemente alla luce di 2 Tm 4:14 (17) che le disgrazie e le sofferenze che patiscono coloro che hanno sbagliato verso Dio e verso gli uomini sono volute da Dio che retribuisce in modo “giusto”. Abusare della bibbia significa legittimare in ogni caso una qualsiasi autorità qualunque cosa faccia o dica, giusta o sbagliata che sia, senza metterla in discussione alla luce di Rom 13: l’autorità viene da Dio e andarle contro significa andare contro Dio e attirarsi una giusta condanna. Se colui che ha una autorità di qualunque tipo sbaglia, è affare fra lui e Dio. Chi sta sotto deve solo obbedire e basta. Abusare della bibbia significa anche tacere quando sarebbe indispensabile parlare di comportamenti distruttivi che qualcuno opera verso tutti gli altri membri della comunità (non per condannare ma per chiarire e tentare una soluzione) e questo tacere avallarlo con le parole: “L’amore copre una moltitudine di peccati” (18). Significa interpretare esclusivamente in senso allegorico le ricchezze del giovane ricco (“sono le ricchezze interiori che allontanano dall’entrare nel Regno di Dio!”) e proclamarlo agli indigenti, ai poveri effettivi (19). Significa anche aprire tutte le volte la bibbia a caso ed essere sicuri che il brano davanti ai nostri occhi ci comunica la volontà di Dio, così come significa confermare con la bibbia tutte le ispirazioni, intuizioni e opinioni personali. Significa anche proclamare che in fondo è salutare che un credente muoia prematuramente perchè Dio ha previsto che il suo continuare a vivere significherebbe l’ allontanamento dalla fede e questo alla luce di Mt 10:28 (20). Significa anche avere di mira, quando si predica o si insegna, uno scopo preciso nei confronti di una persona o di una situazione e strumentalizzare il momento per proclamare le proprie personali convinzioni o per accusare qualcuno tramite un brano biblico.
Questa bottega degli orrori potrebbe mettere in mostra altri suoi articoli in numero consistente e dettagliato. Si comprende allora ma non si giustifica come, sebbene con tutta la mostruosità che comporta (il divieto era motivato da opportunismo di governo ecclesiastico e da esigenze di centralismo esasperato edi controllo e non da sincera cura pastorale), la chiesa abbia potuto vietare la libera lettura della bibbia e la sua traduzione ai fedeli per timore di bizzarre e distorte interpretazioni. (21)

CESARE SOLETTO

(1) Ef. 5:22-33
(2) Per “standard” della chiesa si deve intendere la tradizione dottrinale, liturgica, spirituale ecc...che costituisce punto di riferimento, norma e a cui bisogna attenersi
(3) 2 Tim 4:2
(4) La perplessità nasce dal fatto che siamo abituati a mettere in relazione l’utilizzo della bibbia con un suo influsso benefico nei confronti di chi la legge o ne ascolta la predicazione.
(5) La bibbia non rappresenta in modo assoluto qualcosa di indispensabile per la sopravvivenza spirituale di un cristiano. Non bisogna dimenticare l’opera dello Spirito.
(6) Paradossalmente esiste un abuso salutare della bibbia. Nonostante tale abuso Dio parla all’uomo proprio attraverso il testo abusato.
(7) Per esempio quando ad un brano della bibbia si applica il “senso accomodatizio”. Si applicò a papa Giovanni XXIII le parole di Gv 1:6: Vi fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni.
(8) A Placucci in “ Chiese bianche schiavi neri.
(9) A. Prosperi in "Il grano e la zizzania".
(10) F. Fabbrini in "I cristiani e la guerra da Costantino a S. Francesco" nel volume "Le chiese e la guerra”
(11) Lc 14:26
(12) Mt 8:21-22
(13) Mt 18:15-17
(14) Sal 23:4
(15) “Non permetto alla donna di insegnare”(1 Tm 2:12)
(16) 1 Cor 8:1. Utilizzare questo versetto contro la cultura biblica è un autoledersi in quanto la “conoscenza” di cui qui si parla è la rivelazione di una verità divina.
(17) “Alessandro il ramaio mi ha fatto del male assai. Il Signore gli renderà secondo le sue opere”
(18) 1 Pt 4:8
(19) Mc 10:17-23
(20) “Temete chi può far perire l’anima...”
(21) Concilio di Tolosa del 1229

UNA COMUNITA’ DI FIGLI DI DIO
Una meditazione di Cesare Soletto

Quelli che Egli ha conosciuto li ha anche predestinati a divenire conformi all’immagine del suo Figlio, affinché egli sia il primogenito di molti fratelli” (Rom 8:29).

Non è un qualcosa di straordinario l’essere destinati a divenire come l’immagine di Gesù; fratelli del primogenito. E’ una chiamata per tutti, perché ogni cristiano è chiamato a vivere come Gesù ha vissuto; “…chi dice di dimorare il Lui, deve, nel modo ch’Egli camminò, camminare anch’esso”. (1 Gv 2:6).
In linea generale sono opportune tre condizioni (tratte dalle parole di un uomo di Dio):

1) La comunità sarà sempre piccola (ambito di relazioni appropriato)
Il cuore della predicazione di Gesù è l’imminenza del regno di Dio. Per entrarvi è necessario cambiare vita accogliendo con gioia questa buona notizia.
Per regno di Dio bisogna intendere un evento, un qualcosa che accade: la nuova umanità creata dalla potenza della Parola di Dio pronunciata da Gesù, vive nella condizione di essere effettivamente governata da Dio, di fare la Sua volontà, determinando di conseguenza un nuovo ambito di relazioni interpersonali trasformate. Relazioni interpersonali trasformate significa per esempio un tipo di relazioni non più oppressive (caratterizzate dalla logica del predominio del più forte sul più debole) ma caratterizzate invece dal servizio reciproco con conseguente crescita spirituale di ognuno verso la perfetta statura di Cristo (Ef 4:13). Pertanto, queste relazioni interpersonali trasformate hanno il loro riferimento, il loro “modello di eccellenza” nella relazione che Gesù aveva con il suo prossimo, caratterizzata cioè dal dono della salvezza e concretizzata nella dedizione, nell’amore, senza che alcuno fosse escluso. Oggi tale ambito spiritualmente privilegiato, è la comunità locale che è chiamata a diventare sale della terra e luce del mondo (Mt 5:13-16), profezia vivente nella quale ognuno vive per l’altro una illimitata disponibilità nella reciproca responsabilità.
Perché tale ambito possa offrire il terreno migliore per la sua realizzazione, è necessario che una comunità non sia molto numerosa al fine di favorire rapporti interpersonali diretti e non mediati, al fine di favorire il raggiungimento dell’utile comune, dell’utile condiviso (1 Cor 12:7), al fine di favorire l’esprimersi spirituale personale nel mondo come rappresentativo dell’espressione comunitaria; la parte (il credente, il membro) per il tutto (la comunità Corpo di Cristo) e ciò a causa dell’essere uno in Cristo. Sebbene tali possibilità rappresentino un percorso spiritualmente impegnativo in quanto presuppongono un quotidiano morire a se stessi e al vecchio uomo, tuttavia non dimentichiamo che la comunità è un atto di fede (sono parole sempre di quell’uomo di Dio ricordato prima), non dimentichiamo le parole di Gesù: “Non temere piccolo gregge; poiché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno” (Lc 12:32).

2) La responsabilità sarà sempre grande (no a tutori e curatori spirituali).
Non esistono deleghe di responsabilità in una comunità cristiana (“…e non vi fate chiamare ’guide’, perché una sola è la vostra guida, il Cristo” – Mt 23:10 –). La responsabilità è diffusa e fa riferimento a tutti, in solido, quando si è riuniti nel nome del Signore, o ad ognuno come di volta in volta indica lo Spirito nella sua piena libertà e con la comunità che si esprime con un santo “amen”. Pertanto ognuno per parte sua, nella misura della fede donatagli da Dio, vive con piena responsabilità ed umiltà il dono ricevuto da Dio che mette a disposizione degli altri ed il ministero che esercita con dedizione. Ognuno quindi è una pietra vivente della comunità edificio spirituale, un sacerdote che offre il proprio corpo in sacrificio spirituale (1 Pt 2:5). Ognuno è chiamato, come di volta in volta indica lo Spirito, a cercare l’uno smarrito, lasciando i novantanove.
3) L’opera non è di noi uomini (non siamo indispensabili e la nostra vocazione non è “speciale”).
“Consideratevi servi inutili” dice Gesù (Lc 17:10). Un atteggiamento di umiltà spirituale è l’indispensabile presupposto per considerarci credenti senza particolari “patenti”.
“Se l’Eterno non edifica la casa, invano si affaticano gli edificatori” (Sal 127:1). La consapevolezza che tutto è nelle mani di Dio non ci espone a quell’ansia da responsabilità che ci fa dimenticare che persino tutti i capelli del nostro capo sono contati (Mt 10:30); ci fa dimenticare che Colui che ha cominciato in ciascuno un’opera buona, la porterà a compimento (Fil 1:6).
Cesare Soletto


Sull'esposizione del crocifisso e sull'ora di religione nelle scuole.

Tra tante discussioni animate e intolleranti, televisive e non, che dimostrano quanto poco sia sentito in generale dalla popolazione italiana il problema della libertà religiosa, diritto inalienabile e fondamentale della persona e, in quanto tale, non soggetto a eventuali decisioni "a maggioranza", riteniamo opportuno riportare alcune considerazioni sia sull'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici sia sull'ora di religione come materia scolastica nelle "laiche" scuole statali italiane.


IL CROCIFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE E NEGLI UFFICI PUBBLICI

I motivi della decisione della Corte di Strasburgo sono state riassunte in maniera chiara e sostanziale sul quotidiano "La Stampa" del 4/11/09 da Michele Ainis, professore di Istituzioni di diritto pubblico a Roma e autore del Saggio "Chiesa padrona" (Garzanti, 2009, € 13,00) che documenta il miserevole stato della libertà religiosa in Italia e gli enormi costi che il contribuente italiano deve accollarsi a favore della chiesa cattolica:
" Primo: il crocifisso è un simbolo religioso...
- Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto.
- Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna.
- Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario."

Occorrono altre considerazioni...?


L'ORA DI RELIGIONE NELLE SCUOLE STATALI

Pubblichiamo l'interessante editoriale, in merito al dibattito sull'ora di religione nelle scuole, che è apparso sul sito Evangelici.net
http://www.evangelici.net/editoriali/1256041282.html.
Il contenuto non solo è apprezzabile ma sotto vari aspetti non si può che condividere.
Di fronte a un mondo che inculca una disinformazione interessata diviene sempre più indispensabile essere chiari e presentare i fatti come sono nella realtà.... anche con i problemi ad essi connessi.

Assenze ingiustificate
Editoriale del 20/10/2009

«Introdurre nelle scuole italiane, pubbliche e private, un’ora di religione islamica, facoltativa e alternativa a quella cattolica»: venerdì scorso in Veneto il sottosegretario Adolfo Urso ha spiazzato tutti con una proposta sorprendente che, c’era da aspettarselo, è diventata il tormentone del fine settimana.
La proposta nasce con un obiettivo ragionevole: «evitare di lasciare i piccoli musulmani “nei ghetti delle madrasse e delle scuole islamiche integraliste”», arrivando a un insegnamento moderato, impartito nelle scuole pubbliche da insegnanti “riconosciuti”.
L’idea, per la sua radicalità, non ha registrato molti consensi, consentendo al mondo politico di arroccarsi sul metodo ignorando il merito: un merito che, invece, varrebbe la pena di approfondire, in modo da «governare il processo anziché subirlo domani».

Al di là di questo, la proposta del sottosegretario è la classica bomba che, insieme allo choc e alla polemica, smuove le acque e, talvolta, fa emergere situazioni di cui i più ignoravano l’esistenza.
A segnare il punto è il senatore Lucio Malan, di fede valdese: «nessuno sembra sapere – ha segnalato con la sobrietà che lo contraddistingue – che è tutt’ora in vigore una legge dello Stato che consente quanto proposto dal sottosegretario al commercio estero, e con vincoli anche inferiori».
Si tratta di un regio decreto – per la precisione il Regio Decreto 28 febbraio 1930 n. 289, “Norme per l’attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159″ – emesso un anno dopo i Patti Lateranensi, che contiene le norme di attuazione sui culti ammessi nello Stato.
L’articolo 23, secondo comma, recita: «Quando il numero degli scolari lo giustifichi e quando per fondati motivi non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato possono ottenere che sia messo a loro disposizione qualche locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli: la domanda è diretta al provveditore agli studi il quale, udito il consiglio scolastico, può provvedere direttamente in senso favorevole. In caso diverso e sempre quando creda, ne riferisce al Ministero dell’educazione nazionale, che decide di concerto con quello della giustizia e degli affari di culto. Nel provvedimento di concessione dei locali si devono determinare i giorni e le ore nei quali l’insegnamento deve essere impartito e le opportune cautele».
«Si tratta – continua Malan – di una legge che le chiese evangeliche d’Italia e altre confessioni religiose chiedono da decenni di abolire, in quanto si fonda sulle premesse che il Cattolicesimo è religione di Stato e le altre fedi hanno l’imbarazzante definizione di “culti ammessi”».
Una legge ancora valida e, visti gli sviluppi, pericolosa per la possibilità che qualche realtà religiosa dal credo troppo fondamentalista, in sintonia con qualche dirigente scolastico dalle vedute troppo aperte, trovi spazio nelle scuole con dei corsi che nessuna autorità, allo stato dei fatti, potrebbe controllare.
Allo stesso tempo si tratta di una legge che, se ci riesce di superare il fastidio per l’etichetta di “culti ammessi”, offre uno strumento non indifferente a chi punta sulla laicità.
«Quando io frequentavo le elementari – ricorda ancora il senatore – la Chiesa Valdese si avvaleva di questa facoltà. Negli anni ’70 la Chiesa Valdese rinunciò in nome della laicità della scuola pubblica».
Una scelta laicista che, però, non ha avuto grandi esiti: al passo indietro delle realtà evangeliche non ha, prevedibilmente, fatto seguito una rinuncia sul fronte cattolico e di conseguenza l’assenza unilaterale dei valdesi, per quanto motivata da buoni propositi, ha lasciato campo libero, quasi un monopolio, all’ora di religione cattolica, con la perdita insieme alla presenza, di posizioni e autorevolezza.
Le cose, nonostante le richieste di laicità che si susseguono un anno (scolastico) dopo l’altro, non sembrano destinate a sviluppi positivi.

E allora, visti i risultati, c’è da chiedersi se non sia ragionevole un cambio di strategia.
Se è vero che l’assente ha sempre torto, chissà quale risultato potrebbe portare una presenza massiccia e partecipata alla vita scolastica, dove la realtà evangelica, avvalendosi delle leggi esistenti, possa esprimersi in maniera forte e chiara su vicende contingenti o più generali. Una scuola più laica si può ottenere per sottrazione, come si è tentato di fare senza successo per decenni attraverso posizioni intransigenti e amicizie pericolose.
Ma una scuola più laica si può ottenere anche per addizione: il pluralismo non si esprime solo nella neutralità, ma anche – e, forse, soprattutto – nella possibilità per tutti i gruppi di significativa entità di avere un loro spazio.
Chissà se una presenza in loco con un’ora di religione reclamata dalla realtà evangelica non potrebbe essere uno strumento più efficace di tanti anni di silenzio.
I numeri non dovrebbero essere un problema: se è vero, come sosteneva Montanelli, che gli italiani sono “protestanti mancati”, non mancherebbe l’interesse per un’ora di approfondimento sulle basi della spiritualità evangelica. E chissà che, se fatto bene, non possa essere perfino uno strumento più efficace di tante iniziative di piazza per diffondere al meglio il messaggio di speranza contenuto nel vangelo e magari per sfatare, attraverso la conoscenza, qualche luogo comune e qualche prevenzione nei confronti degli evangelici.

Certo, per arrivare a questo risultato bisognerebbe riesumare un concetto molto teorizzato ma poco praticato nell’ambiente: la comunione tra chiese, declinata nel verso della fratellanza e dell’unità di intenti.
Un’abitudine che abbiamo perso e che, forse, è il maggiore ostacolo a ogni iniziativa, locale e nazionale. Chissà che la scuola non aiuti a colmare questa lacuna.

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