UGO GASTALDI
ESSENZA E CARATTERI
DEL CHILIASMO RIVOLUZIONARIO
Sotto questo titolo l'autore ha raccolto la parte essenziale di due lezioni da lui tenute al Centro Evangelico «Pietro Andretti» di S. Fedele Intelvi per un convegno teologico sul tema «Rivoluzione e predicazione cristiana». La parte finale, che non rientrava propriamente nelle lezioni, rispecchia il pensiero che 1' autore ebbe occasione di esprimere durante il corso delle discussioni che seguirono.
La Chiesa primitiva viveva in un mondo provvisorio nell'attesa
escatologica del suo Signore, la cui venuta avrebbe messo fine a questo mondo
ed instaurato nella sua pienezza il Regno di Dio. Questo mondo era tanto più
provvisorio quanto più reale ed imminente era sentita la sua fine. L'attesa
escatologica era autentica e non un mito: era cioè intimamente ed
esclusivamente legata alla persona di Gesù e soprattutto lasciava al Cristo ed
a lui soltanto il compimento degli eventi ultimi.
Con il venir meno della tensione escatologica la Chiesa
mutò il suo rapporto col mondo. La provvisorietà del mondo diventò retorica e
mitica, e man mano che la Chiesa si adattò ad esso, ne assunse i valori e ne
diventò una garanzia ed uno strumento di stabilità. Per poco, molto poco, non
ne diventò l'assoluta padrona, dopo esserne diventata la maestra nelle cose
divine ed umane. Il Medioevo ci mostra una Chiesa che è straordinariamente
potente, esageratamente ricca, arbitra di tutto il sapere ed in più tirannica
depositaria delle chiavi d'accesso all'altro mondo. Contro questa Chiesa, che
è diventata la forma gerarchicamente più alta dell'ordine politico e sociale,
sino agli albori dell'età moderna lotta lo Stato, cioè Cesare, per avere la
parte che è sua. Ma contro di essa si ergono anche, uscendo dal fondo più
oscuro della chiesa e della società, quei movimenti che la Chiesa indiscriminatamente definì come
ereticali.
Questi movimenti, per semplificare, sono di due tipi:
l) di carattere puramente e prevalentemente religioso, con
nessuno o scarso interesse politico o sociale;
2) di carattere religioso e sociale insieme, con
atteggiamenti di critica o di negazione tanto della chiesa costituita che
dell'ordine sociale. Tra questi ultimi ve ne sono alcuni che assumono un
aspetto decisamente rivoluzionario e che per la compresenza dell'elemento
millenaristico chiameremo fin d'ora movimenti chiliastici rivoluzionari.
E' soltanto di
questi movimenti che ci occuperemo in questo studio e limitatamente allo scopo
di identificare e definire quei caratteri comuni e costanti con cui si
presentano e che ci permettono di riconoscerli come un unico fenomeno storico,
che ebbe le sue prime manifestazioni nella valle del Reno non prima del secolo
XII e le ultime del secolo XVI in pieno periodo della Riforma. Una rassegna
anche frettolosa dei singoli movimenti, che sono piuttosto numerosi ed assai
diversi tra di loro, esorbiterebbe dai limiti che ci siamo imposti.
Tensione sociale ed
escatologia
Riesce abbastanza agevole ricostruire l'essenza di questi
movimenti dal momento che in essi compaiono costantemente quattro elementi
fondamentali: 1) la tensione sociale; 2)
la condanna delle ricchezze; 3) l'ideale egualitario; 4) il miraggio del
Millennio.
1) La tensione sociale.
E' questo il presupposto costante e determinante di ogni
movimento chiliastico rivoluzionario,
in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo esso si verifichi. Difatti le prime
manifestazioni di questo fenomeno storico si hanno soltanto dopo il Mille, cioè
in una situazione economica e sociale che comincia a trasformarsi sotto la
pressione di .due fattori concomitanti:
1) il progressivo dissolvimento del sistema feudale, fondato
su una economia prevalentemente agricola;
2) l'ascesa dei ceti borghesi, sul fondamento di una
economia manifatturiera e mercantile.
La ripresa economica viene a determinare in alcune zone
d'Europa (specialmente nei Paesi Bassi e lungo la valle del Reno) due piaghe
sociali: a) la concentrazione del potere economico nelle mani di una oligarchia
mercantile che asservisce l'artigianato e si impossessa del potere cittadino,
determinando in larga misura salari, Orari di lavoro, genere, qualità e
quantità della produzione; b) la formazione di un proletariato urbano,
costituito. in gran parte di contadini inurbatisi, che soffre dello spietato
sfruttamento economico cui è sottoposto -e della condizione sociale e psicologica
che è caratteristica delle plebi urbanizzate: uno stato di impotente isolamento
e di permanente insicurezza, perché esse sono esposte senza difesa alle
conseguenze delle crisi economiche, delle calamità naturali, dei casi infelici
della vita, accompagnato da un senso di ansietà e di 'frustrazione conseguente
alla mancanza di una rete di solide relazioni parentali e sociali su cui
invece i contadini, pur nelle loro povertà, potevano sempre fare affidamento.
Durante tutto il Medioevo questa tensione sociale si fece sentire un po'
ovunque, diventando più acuta in certe zone e in certi periodi, quando carestie
e epidemie rendevano addirittura tragica la condizione del proletariato urbano.
Il confronto facile e quotidiano della miseria con la ricchezza
delle classi privilegiate (ecclesiastici, nobili, borghesi) accumula
risentimenti ed odii che esplodono molto frequentemente in disperate e
disordinate rivolte che finiscono regolarmente soffocate nel sangue e con un
peggioramento della situazione precedente. Le azioni rivoluzionarie promosse
dai movimenti millenaristici hanno il loro terreno naturale in queste
situazioni croniche o eccezionali e sono sempre le più violente. Sono invece
infrequenti nell'ambiente rurale ove le condizioni di miseria, anche se gravi,
sono più tollerabili e trovano una compensazione in un maggior senso di
sicurezza offerto dall'ambiente sociale.
2)
La condanna delle ricchezze.
La condanna delle ricchezze è
elemento comune a tutti i movimenti pauperistici, anche a quelli non
propriamente rivoluzionari. I pauperes vi arrivarono in modo abbastanza facile
e logico, perché favoriti dal concetto che si era sempre avuto della povertà
nel mondo cristiano.
La
Chiesa, anche quando si era mondanizzata e arricchita, non aveva mai cessato'
di esaltare la povertà come una condizione di perfezione. spirituale. Quando
nella Chiesa, diventata gerarchia e massa, comparve per reazione il santo di
professione, il monaco che rinuncia al mondo, la povertà diventò un requisito
della santità. E per essere giusti, questo non avvenne soltanto nell'ambito
della vita monacale. Un secolo prima di San Francesco, San Norberto, pure
essendo arcivescovo, elesse la povertà come sua norma di vita e andò in giro
per il mondo vestito di cenci. Ma pure esaltando la povertà la Chiesa non la
considerò mai un dovere, come non considerò mai un dovere la castità. Consentì
che diventasse un dovere solo nell'ambito di una regola monacale. E soprattutto
non ritenne mai che la glorificazione della povertà implicasse la condanna
della ricchezza. Il pensiero dei Padri e dei Dottori della Chiesa su questo
punto non offre dubbi. Esso si trova riassunto e riaffermato in S. Tommaso, il
quale ritiene che la Provvidenza assegni agli uomini varie condizioni di vita
ed il ricco non abbia altro dovere che quello di fare generose e meritorie elemosine
ai poveri. Seguendo questa linea di pensiero si arrivò all'assurdo di pensare
che la povertà fosse una buona cosa, perché forniva l'occasione di fare delle
buone opere [1]
Ma i
pauperes hanno una visione più rettilinea e coerente del rapporto povertà-ricchezza.
Da una parte essi accettano come valida la glorificazione della povertà come
stato di perfezione cristiana, come Imitatio
Christi, ma dall'altra essi risalgono, oltre la Chiesa e lo stesso
monachesimo, all'evangelo e sono convinti di trovarvi la condanna della
ricchezza come condizione di iniquità, come stato di peccato, come empietà. E
la cosa è comprensibile. Il monaco o l'asceta elegge volontariamente la
povertà, perché ha imparato che la ricchezza è un impedimento alla perfezione
cristiana. Ma il povero esperimenta sulla sua pelle che la ricchezza significa
iniquità, perché la sua povertà non è sempre il prodotto di cause di cui
nessuno ha colpa o dell' omissio operarum
dei ricchi, ma purtroppo e molto spesso la conseguenza di uno spietato
sfruttamento da parte di altri. Una volta riconosciuta la ricchezza come
iniquità e peccato, essa si trova ovviamente sottoposta al giudizio di Dio. E
questo giudizio coinvolge con i ricchi, e con maggior rigore, la Chiesa che è
sfacciatamente ricca e quindi profondamente empia. L'odio dei pauperes per la
Chiesa ha al suo fondo questo motivo. E' in epoca medievale e non già nella
Riforma che la Chiesa viene identificata con la meretrice dell'Apocalisse. In
fondo, oscuramente, i pauperes accettano
dalla Chiesa anche l'insegnamento che la povertà è una condizione voluta dalla
Provvidenza, ma per rovesciarla in una condizione di elezione. E' un fatto che
nei movimenti pauperistici di ogni tempo è molto frequente questa pretesa: che
i poveri, proprio a motivo della povertà, non solo hanno il diritto di
denunciare come ingiusti e nemici di Dio i ricchi, ma non abbiano bisogno di
altro per essere a posto con Dio. Non sono i poveri che debbono cambiare, ma i
ricchi. I poveri, soltanto perché poveri, sono i giusti, sono i santi, gli
eletti, il Popolo di Dio, ed entrano di diritto nel Regno dei cieli. I pauperes
sono difatti affascinati dalla parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone,
che è certamente una parabola per i ricchi, non per i poveri [2].
Questo primo e fondamentale fraintendimento dell'evangelo non porta da solo e
necessariamente i movimenti pauperistici a diventare rivoluzionari, ma li
predispone a diventare tali non appena sorga qualche profeta ad annunziare che
i poveri sono chiamati ad essere gli strumenti materiali del Giudizio di Dio.
3. L'ideale egualitario.
Alla condanna delle ricchezze si aggiunge l'ideale egualitario.
Ma i movimenti chiliastici rivoluzionari non lo derivano dall'evangelo o
dall'esempio della comunità di Gerusalemme in Atti IV-V, perché qui è attuata
semplicemente una comunanza volontaria di beni e nel solo ambito della chiesa.
L'ideale egualitario consiste nell'abolizione della proprietà ed in una
comunanza di beni da attuarsi nell'intera società, anzi nell'intero mondo. E' difficile rintracciarne le origini nel
Nuovo Testamento. Anche il regno millenniale o la Nuova Gerusalemme
dell'Apocalisse non offrono appigli per una concezione del genere. E difatti
I'ideale egualitario è stato trasmesso al Medioevo dal mondo antico e più
precisamente dalla letteratura greco-latina.
Esso è già chiaramente lumeggiato nei riti dell'Età dell'
Oro e del Regno di Saturno (resi popolari da Virgilio, Ovidio e Luciano) come
uno stato di natura originario in cui non c'era proprietà e non c'era bisogno
di lavorare perché la natura dava tutto in abbondanza. Assume una forma
filosofica nel pensiero stoico (in Zenone e in un'opera anonima del II secolo
a.C., le Isole dei Beati) ed anche in
quello di alcuni gnostici (in un'opera attribuita a Carpocrate, Sulla Giustizia) in cui questo stato di
natura è caratterizzato dalla comunanza dei beni, delle donne e dei figli,
dalla pace, dalla libertà e dalla longevità. Si tratta di un tipico ideale
anarchico-comunistico. Ma questo ideale conserva sempre il carattere di mito, e
di mito nostalgicamente proiettato nel passato. Seneca, che a sua volta fa la
lode dell'antico ordine egualitario, lo considera definitivamente perduto.
I Padri della Chiesa (S. Agostino, S. Cipriano, S. Zeno,
S. Ambrogio) riprendono questo concetto pagano e lo cristianizzano facendone
un originario stato naturale voluto da Dio ma andato perduto in conseguenza
della caduta. Più che mai proiettato indietro e dogmaticamente sepolto sotto
la pesante pietra del peccato originale, l'ideale egualitario cessa del tutto
di essere efficace sul piano sociale. Tuttavia lo vediamo sopravvivere tenacemente
al crollo del mondo antico e riapparire nella letteratura medievale (Decretum di Graziano) e addirittura
trovare una seducente volgarizzazione nel “Roman
de la Rose” di Jean de Meun.
Noi
lo ritroviamo nella sua versione cristiana in molti dei movimenti ereticali
del Medioevo e persino nella sua originaria e integrale forma pagana in quel
vasto e sconcertante fenomeno ereticale-rivoluzionario che è il movimento dei
Fratelli del Libero Spirito. Con la differenza che ora l'ideale egualitario,
grazie alla mediazione dell'escatologia popolare, viene distaccato da un perduto
Passato e proiettato in un Futuro imminente o in un Presente da realizzarsi
subito. Così al Millennio viene attribuito quel contenuto di giustizia sociale e
mondana che esso non ha certamente nell'immagine che ce ne offre l'Apocalisse.
4. Il miraggio del
Millennio.
Il venir meno dell'attesa escatologica e la mondanizzazione
della Chiesa andarono di pari passo. Le prime generazioni cristiane dirigevano
le loro speranze ed anche i loro timori verso un Futuro incombente su ogni ora
di questa giornata terrena e avevano nell' escatologia un potente antidoto
contro le seduzioni di un mondo già definitivamente giudicato. Cedendo
all'influenza dell' ellenismo, questo equivalente spirituale deI costantinismo,
la Chiesa convogliò ben presto queste speranze e questi timori in un'altra
direzione, e cioè da questa vita nell'aldilà, nella condizione che attende
l'individuo dopo la morte.
Tuttavia la tradizione apocalittica, rigettata dalla
dottrina ufficiale o resa innocua dall'interpretazione che se ne dette
(Agostino), continuò a vivere sotterraneamente nella religione popolare. La
purezza della tradizione giovannea andò però perduta attraverso contaminazioni
varie con la tradizione apocalittica dell'ebraismo ellenistico. Accanto
all'Apocalisse canonica comparvero quegli Oracoli Sibillini che sono
responsabili di aver trasmesso al Medioevo un'escatologia che sotto due
aspetti per lo meno non è più quella della Chiesa primitiva:
1) il Cristo che deve venire non è più lo Sposo atteso dalla
comunità apostolica ma accentua ed esagera i caratteri del Cristo guerriero e
giustiziere dell'Apocalisse;
2) il Cristo non è più come nella tradizione giovannea
l'unico salvatore escatologico, ma accanto ad esso se ne colloca un altro che
lo precede cronologicamente, l'Imperatore degli ultimi tempi, che verrà via via
identificato con Costantino, Costante, Carlo Magno, Baldovino, Enrico IV,
Federico II ed altri innumerevoli sovrani, e con cui pretenderanno di
identificarsi purtroppo anche molti capi messianici dei movimenti chiliastici
rivoluzionari. E' a questo Imperatore escatologico, versione pseudo-cristiana
dell'ellenistico sovrano divinizzato (il Soteros), che l'escatologia
popolare medievale assegna spesso il compito mondano di fare giustizia e di
riparare ai mali del mondo, suscitando l'irosa reazione dell'Anticristo,
contro cui combatteranno le milizie dei Santi. Anche quell'autentica rinascita
del profetismo evangelico ed ortodosso che si ebbe nel Medioevo con Gioacchino
da Fiore lasciò soltanto depositi pericolosi nel limaccioso fiume dell'escatologia
popolare, legittimando talvolta anche interpretazioni postcristiane del
carattere del Millennio
[3]
Ma per quanto adulterata e torbida, questa escatologia conserva
un carattere fondamentale di quella della chiesa primitiva: in essa il Tempo
della Fine è certissimo ed imminente. In ogni istante è sul punto di
realizzarsi. Ogni imperatore che sale al trono è lo sperato Ultimo Imperatore;
ogni calamità un segno preannunciatore della venuta dell'Anticristo; ogni
predicatore che denunci le iniquità della chiesa e della società, uno dei Profeti-Testimoni
dell'Apocalisse. L'attesa escatologica è mantenuta tesa da una situazione
esteriore lancinante ed ossessionante, come già accadde nel secolo II d.C. col
Montanismo, soltanto che al posto delle persecuzioni abbiamo questa volta le
pestilenze, le carestie e l'indicibile miseria delle masse popolari.
E' proprio l'elemento escatologico a trasfigurare e ad amalgamare
tra di loro i vari elementi che entrano a costituire l'essenza del chiliasmo
rivoluzionario, unificandoli in un coerente mito sociale. La visione
escatologica traduce in immagini escatologiche gli elementi umani e mondani
della situazione sociale. Queste immagini con la forza di suggestione che
sprigionano suscitano un'immensa carica emozionale, che offre in tutti i casi
un intenso sollievo allo stato di frustrazione, di insicurezza e di ansietà, ma
purtroppo spesso anche trova sfogo in folli avventure rivoluzionarie che
finiscono sempre in sanguinosa tragedia.
Le immagini
escatologiche
Soffermiamoci a considerare sia pur rapidamente alcune delle
immagini escatologiche più ricorrenti nel chiliasmo rivoluzionario.
1) Il capo paracletico è senza dubbio l'immagine chiave e
l'elemento indispensabile del quadro escatologico. Che sia un laico oppure un
frate apostata (mai un uomo regolare di chiesa) esso deve essere accompagnato
agli occhi dei suoi seguaci dai segni carismatici che confermano la sua
vocazione ed elezione (eccezionale personalità, straordinaria potenza di parola
e di guarigione, rivelazioni, visioni, fede accesa e comunicativa, ecc.).
Esso assume invariabilmente il carattere e le funzioni di
uno dei personaggi della tradizione escatologica (uno dei due Profeti,
l'Imperatore degli ultimi tempi, un re messianico, sino all'identificazione con
lo stesso Cristo e con Dio!). Diventato un personaggio escatologico vivente,
il Capo esercita una autorità assoluta ed indiscutibile sui suoi seguaci, i
quali hanno bisogno di vedere in lui riflesso il soprannaturale in modo da
esserne esaltati e fanatizzati. Questi capi, che molto spesso non provengono
dal popolo, hanno un'intuizione infallibile della loro funzione psicologica e
questo spiega il carattere largamente mistificatorio della figura che assumono.
Tanchelmo, Eude de l'Etoile, Emico (nel sec. XII), lo pseudo Baldovino, il Maestro
d'Ungheria (nel sec. XIII), per nominare solo alcune delle più fantastiche
personalità che compaiono nel chiliasmo rivoluzionario, quando non sono dei megalomani sono dei raffinati seduttori che accettano
di recitare il ruolo che più suggestiona i loro fanatici seguaci: quello del
personaggio escatologico che proclama il Tempo della Fine e più ancora incarna
la collera di Dio nel modo più terribile ed intransigente.
2) Un'altra figura essenziale del dramma apocalittico è
quella del Nemico escatologico. Finché il tempo della pazienza di Dio non sia
spirato si ha ancora davanti un miscredente o un peccatore che può ravvedersi e
cambiare. Ma quando quel tempo è spirato per dar luogo al Tempo della collera
di Dio, il miscredente ci il peccatore diventa l'empio da distruggere, il
nemico di Dio da annientare. E proprio in quanto nemico di Dio, l'empio perde
anche i suoi connotati umani per assumere connotati diabolici, quindi
abissalmente ripugnanti ed odiosi. Il nemico escatologico nella storia dell'azione
violenta dei pauperes è stato via via il maomettano, l'ebreo, l'ecclesiastico o
il ricco epulone, ma sempre questa immagine ha esplicato con terribile
efficacia una triplice funzione: quella di chiudere l'adito ad ogni sentimento
di pietà, di suscitare e concentrare una carica di passionalità esplosiva, di
offrire infine a questa un oggetto ben definito contro cui scaricarsi.
3) Una terza immagine escatologica è l'Armata dei Santi. La
sua necessità psicologica è facilmente giustificabile con il bisogno, che si
rivela in tutte le manifestazioni medievali del sentimento religioso dei
poveri, di entrare in un «gruppo salvazionista » consacrato ad un'opera
santificante. E' questo un rimedio ed una compensazione al senso di alienazione
e frustrazione che deriva-da una situazione mondana collettiva particolarmente
dolorosa -e mortificante. NeL Medioevo questo fenomeno si manifesta dapprima
nelle costruzioni di chiese e di santuari e nei pellegrinaggi collettivi, in
seguito nelle crociate dei poveri ed infine nelle imprese eversive dei
movimenti chiliastici. La salvezza non consiste tanto nell'appartenenza al
gruppo salvazionista, che di per sé è limano e quindi non salvifico, quanto
nella dedizione completa ad un'opera collettiva concepita come « santa» o anche
ad un capo cui si attribuisce una « santità» che gli deriva esclusivamente
dalla figura o dall'opera escatologica che incarna. I «santi» sono tali per
pura e semplice partecipazione all'opera « santa »: è una santità che non ha
niente di individuale e soprattutto non ha niente a che vedere con il concetto
tradizionale di «santità». Questi santi (capi o gregari che siano) possono quasi
sempre sono dei terribili peccatori nel senso tradizionale di questo termine,
perché quando non depredano, ammazzano o stuprano, vivono nell'ozio, nella
crapula e nel lusso; ma nessuno può strappar loro la convinzione di essere
«santi» finché essi sono gli strumenti della giustizia di Dio.
4) Quarta ed ultima figura del chiliasmo rivoluzionario è l'
opera escatologica collettiva. L'opera escatologica, come qualsiasi opera
collettiva del gruppo salvazionista, viene decretata dal Capo paracletico, è
strettamente collegata con il personaggio escatologico che il Capo incarna e si
adatta volta a volta alle circostanze storiche. L'escatologicità dell'opera
consiste nel suo rientrare nell'ordine degli eventi escatologici mutuati dalla
tradizione apocalittica. Praticamente però essa finisce per limitarsi alla
pura e semplice distruzione degli empi, come necessaria preparazione
all'instaurazione del Regno Millenniale, ed allora essa assume una connotazione
tremendamente precisa. I Santi sanno di fare la Vendetta di Dio ed uccidere senza pietà diventa una opera doverosa,
meritoria, santa. La storia dei movimenti chiliastici rivoluzionari è fatta di
pagine di orrore (e molto spesso di inutili efferatezze consumate anche ai
danni degli innocenti), che ci tolgono anche l'ultimo dubbio che si possa
parlarne come di movimenti cristiani.
I tentativi di instaurazione della società egualitaria hanno
un carattere troppo impreciso, provvisorio o contingente, perché possano
fornire indicazioni più positive che negative. Non si può instaurare certamente
il Regno millenniale finché si
combatte il Nemico escatologico, anche se l'esito della battaglia è scontato.
Ma rientra nel compito del Personaggio escatologico vivente; anticipare per lo
meno nell' Armata dei Santi, anche se in modo approssimativo, le condizioni
egualitarie, la perfetta gioia e la gloria del Regno millenniale. Ecco quindi la completa comunanza dei beni, e
spesso delle donne, i banchetti messianici, le feste, i costumi sfarzosi e
tante altre cose altrimenti incomprensibili della vita comunitaria del gruppo
escatologico. Per ragioni che sono ovvie si tratta di un comunismo di consumo e
non di produzione, quale si addice ad un Popolo che è anche un Esercito
accampato in mezzo al nemico. Ma anche quando i Santi possono concedersi una
pausa ed hanno agio di organizzare meglio la loro vita comunitaria (come accade
in certi gruppi di Taboriti) noi vediamo che la loro' visione del comunismo
esclude rigorosamente il lavoro. Questo dunque, abolito il servaggio dei padroni,
appare come l'ultima servitù, quella di dover mangiare col sudore della fronte.
Il che ci dice che se i pauperes si
muovono sotto la pressione di istanze di giustizia sociale, queste vengono più
o meno inconsciamente proiettate in una mitica concezione della comunità che è
insieme ingenua ed equivoca, perché fonde in una sola immagine il regno di
Saturno e quello di Cristo, con una netta prevalenza degli elementi pagani su
quelli cristiani. Il regno millenniale infatti viene sempre concepito come qualcosa
di non molto diverso da questa vita mondana, come una nuova più felice ma
sempre edonistica condizione umana in cui si è liberi da necessità, servitù e
leggi, ma solo per vivere insieme lietamente e senza far niente. E soprattutto
non si trova praticamente mai al centro di questo vago quadro del Regno la
figura di colui che dovrebbe esserne illegittimo re e costituirne l'unico
elemento sicuro e reale, Gesù Cristo.
Quanto
di cristiano?
Dei movimenti chiliastici rivoluzionari si sono tentate
interpretazioni in tutte le chiavi messe a nostra disposizione dalla cultura
contemporanea: politiche, giuridiche, economiche, sociologiche e psicologiche.
Non è mancato anche qualche tentativo di interpretarli dall'interno
dell'esperienza religiosa del Medioevo, ma su questa strada senza dubbio assai
promettente c'è ancora molto cammino da fare.
Il punto di vista più convincente da cui giudicare questi
movimenti sembra ancora quello sociologico. Nel millenarismo rivoluzionario
dovremmo riconoscere prevalentemente un mito sociale che si è rivestito delle
forme contingenti impostegli da un contesto storico in cui le categorie
religiose permeavano tutte le manifestazioni della vita umana. E' questo uno
schema interpretativo abbastanza funzionale, anche se semplifica e
razionalizza il fenomeno tagliandone fuori aspetti che non si possono tanto
semplicemente ridurre a proiezioni mitiche di istanze sociali.
Anche quando venga considerato essenzialmente un mito sociale, il
chiliasmo rivoluzionario non cessa di essere un fenomeno interessante per chi
si chiede come noi qual genere di rapporti possano intercorrere tra cristianesimo
e rivoluzione sociale su un piano di effettiva verità .
Noi abbiamo studiato Un fenomeno storico la cui dinamica non
scaturisce da ragioni interne ad una fede cristiana, ma dalle tensioni di
classe caratteristiche di determinate parti della società europea in certi
momenti storici. Più che la fede, è la tradizione cristiana a
fornire la maggior parte degli elementi che vengono utilizzati nella
costruzione di un così coerente mito sociale. Ma se è vero che questi elementi
entrano nel mito trasformandosi in impulsi estremamente efficaci, non è men
vero che essi vi compaiono come aspetti avulsi e deformati di una visione la
cui natura è fondamentalmente diversa da quella di qualsiasi mito sociale.
Questo ci sembra essere il nocciolo della lezione che ricaviamo dal chiliasmo
rivoluzionario: quanto di cristiano entra nel mito sociale è utile per la
rivoluzione, ma contemporaneamente diventa falso e inservibile da un punto di
vista globalmente ed autenticamente cristiano.
Di solito quando si parla di eresie si è abbastanza
d'accordo su un equivoco, quello di riconoscere loro il merito di aver rimesso
in onore verità trascurate o andate perdute del patrimonio tradizionale della
Chiesa. Considerato sotto questo punto di vista il millenarismo rivoluzionario
avrebbe restituito importanza dottrinale e pratica al motivo escatologico che
la Chiesa. storica ad un certo momento aveva ripudiato e soprattutto avrebbe
riproposto in termini drammatici il problema del rapporto tra concezione
cristiana della vita ed ordine mondano. L'equivoco sta nel ritenere che
l'elemento escatologico, come ogni altro elemento della tradizione, possa
cadere o essere ripristinato senza una profonda ragione pratica, che va cercata
esclusivamente all’ interno della fede cristiana e più precisamente nella
soluzione data al problema del suo rapporto col mondo.
Questo problema la Chiesa se l'era già posto e l'aveva anche
risolto, riconoscendo di non poter rimanere estranea all'ordine mondano e di
doverne assumere deliberatamente e largamente la responsabilità. IL
superficiale giudizio corrente è che l'abbia risolto in modo sbagliato, dando
il suo avallo e il suo crisma alle forme politiche," sociali, economiche e
culturali delle società storiche attraverso cui è passata. Questo giudizio non
tiene conto del fatto che la Chiesa si assunse la responsabilità di . conservare
l'ordine mondano. proprio in un'epoca -storica io cui non c'era altro da fare
che conservare, mancando totalmente l'alternativa di un qualsiasi altro ordine.
L'errore commesso dalla Chiesa consiste piuttosto, se la storia può insegnarci
qualcosa, proprio nell'aver ritenuto di doversi assumere la responsabilità
del mondo.
Il chiliasmo rivoluzionario diventa comprensibile solo sullo sfondo di
una Chiesa compromessasi sino al collo nei problemi di questo mondo e ancor più
nella pretesa di aver dato ad essi una soluzione giusta, definitiva e conforme
alla verità cristiana. Ma l'alternativa che esso oppone all'errore della Chiesa
non è che una semplice variante dello stesso errore, perché è ancora la pretesa
di una vocazione a costruire un ordine cristiano del mondo, anzi l'ordine
definitivo ed ultimo, ricorrendo di nuovo a mezzi umani santificati da nuovi e
più presuntuosi crismi. Nell'uno e nell'altro caso, all'errore di pretendere
che la vocazione cristiana sia quella di dare un ordine al mondo si aggiunge
quello di presumere che Dio conceda all'uomo qualche suo autorevole sigillo con
cui garantire la giustizia di un ordine mondano. E difatti nell'uno e
nell'altro caso, il marchio di garanzia risulta regolarmente falso.
Se là c' è la presunzione sacerdotale di aver ricevuto da
Dio ogni autorità in cielo e in terra e di poter parlare ed agire nel suo nome,
qui c'è la presunzione paracletica di poter disporre delle «cose ultime» e di essere gli strumenti diretti del Giudizio di
Dio. Alla falsità dei carismi e dei sacramenti che impartisce la Chiesa
dell'Anticristo, corrisponde la falsità delle vocazioni, delle rivelazioni e
delle unzioni di cui si vantano i sedicenti profeti e re messianici del
millennio. Se falsi cristiani sono i ricchi e i potenti che credono di essere a
posto con Dio solo perché la chiesa li accoglie e li onora, altrettanto lo
sono, anche se più pietosamente, questi poveri, sfruttati ed oppressi che
soltanto per essere tali s' illudono di essere i Giusti e gli Eletti del Regno.
Il cristo dipinto di rosso da cui si faceva precedere Thomas Müntzer non era un
emblema più cristiano del cristo d'oro che pendeva dal collo dei principi della
Chiesa. E se la lunga storia della Chiesa è piena di vergogne e di infamie, i
brevi capitoli che in confronto ha scritto il chiliasmo rivoluzionario sono un
denso spaventoso campionario di orrori e di aberrazioni. Il cristianesimo di
coloro che fanno la rivoluzione nel nome di Cristo non ci appare più vero né
migliore di quello di coloro che nello stesso nome di Cristo difendono lo stato
e la proprietà. Al confronto con l'evangelo di Gesù Cristo non regge la Chiesa
dei ricchi e dei potenti, come non regge il millennio dei poveri e dei fanatici.
© Ugo Gastaldi
NOTE
[1] E'
incredibile. come questa opinione fosse
diffusa e condivisa persino da persone colte anche oltre il Medioevo. Quando
Lutero agli inizi della Riforma ebbe ad affermare che l'accattonaggio avrebbe
dovuto scomparire in tutta la Cristianità, suscitò la scandalizzata reazione di un suo avversario cattolico, Gerolamo Emser,
che lo definì "un picardo piuttosto che un
cristiano" perché i Picardi hanno la pratica di non permettere che alcuno di
loro vada mendicando... Ma Alessio si guadagnò il cielo col mendicare e Martino ed Elisabetta come anche Edvige e tutti i servi di Dio piacquero il Dio facendo
elemosine… Come l'acqua caccia il fuoco così le elemosine tolgono via i
peccati. ,Perciò non è buona cosa che si smetta di mendicare; verrebbero il cessare con questo
una quantità di buone opere ! » (citato da L. Verduin, Tbe Rejormers and tbeir Stepcbildren, Grand Rapids, Michigan, 1964, p.
239).
[2] Non ci deve
sorprendere che nel Medioevo si sia giunti -a
questo singolare fariseismo della povertà, se persino ai nostri giorni si
arriva ad .affermazioni di questo genere:
«Che questi (i poveri, gli umili, i
rifiutati, gli oppressi) aderiscano o meno alla Istituzione ecclesiastica, in
loro è vivo e operante -lo Spirito di Cristo
povero, umile, rifiutato e oppresso. Essi
sono il fondamentale sacramento di Cristo e per questo essi sono la parte più
vitale del popolo di Dio, la base priina della sacramentalità e della missione
della Chiesa ... Gesù chiama suoi
fratelli gli affamati, gli assetati, i diseredati, i sofferenti e i carcerati. Se li chiama
fratelli è segno che essi fanno la volontà
del Padre ...» (Comunità dell'Isolotto),
Incontro a Gesù, p.9).
[3] Konrad Schmid, il cosidetto «messia dei flagellanti» (1360), che pretese di essere l'imperatore Federico II risorto ed il compitore delle profezie di Isaia, riteneva che Cristo fosse soltanto il suo precursore e che il sistema cristiano dovesse essere soppiantato da un sistema più alto, quello che egli, nuova incarnazione di Dio, era venuto ad annunziare.
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