27.1.13

Scritti e conferenze di Ugo Gastaldi


 




 UGO GASTALDI 

ESSENZA E CARATTERI
DEL CHILIASMO RIVOLUZIONARIO
 
Sotto questo titolo l'autore ha raccolto la parte essenziale di due lezioni da lui tenute al Centro Evangelico «Pietro Andretti» di S. Fedele Intelvi per un convegno teologico sul tema «Rivoluzione e predicazione cristiana». La parte finale, che non rientrava propriamente nelle lezioni, rispecchia il pensiero che 1' autore ebbe occasione di esprimere durante il corso delle discussioni che seguirono.
 
La Chiesa primitiva viveva in un mondo provvisorio nel­l'attesa escatologica del suo Signore, la cui venuta avrebbe messo fine a questo mondo ed instaurato nella sua pienezza il Regno di Dio. Questo mondo era tanto più provvisorio quanto più reale ed imminente era sentita la sua fine. L'attesa escatologica era autentica e non un mito: era cioè intimamente ed esclusivamente legata alla persona di Gesù e soprattutto lasciava al Cristo ed a lui soltanto il compimento degli eventi ultimi.  
Con il venir meno della tensione escatologica la Chiesa mutò il suo rapporto col mondo. La provvisorietà del mondo diventò retorica e mitica, e man mano che la Chiesa si adattò ad esso, ne assunse i valori e ne diventò una garanzia ed uno strumento di stabilità. Per poco, molto poco, non ne diventò l'assoluta padrona, dopo esserne diventata la maestra nelle cose divine ed umane. Il Medioevo ci mostra una Chiesa che è stra­ordinariamente potente, esageratamente ricca, arbitra di tutto il sapere ed in più tirannica depositaria delle chiavi d'accesso all'al­tro mondo. Contro questa Chiesa, che è diventata la forma gerarchicamente più alta dell'ordine politico e sociale, sino agli albori dell'età moderna lotta lo Stato, cioè Cesare, per avere la parte che è sua. Ma contro di essa si ergono anche, uscendo dal fondo più oscuro della chiesa e della società, quei movimenti  che la Chiesa indiscriminatamente definì come ereticali.     

Questi movimenti, per semplificare, sono di due tipi:

l) di carattere puramente e prevalentemente religioso, con nessuno o scarso interesse politico o sociale;
2) di carattere religioso e sociale insieme, con atteggiamenti di critica o di negazione tanto della chiesa costituita che dell'ordine sociale. Tra questi ultimi ve ne sono alcuni che assumono un aspetto decisamente rivolu­zionario e che per la compresenza dell'elemento millenaristico chiameremo fin d'ora movimenti chiliastici rivoluzionari.
E' soltanto di questi movimenti che ci occuperemo in questo studio e limitatamente allo scopo di identificare e definire quei caratteri comuni e costanti con cui si presentano e che ci permet­tono di riconoscerli come un unico fenomeno storico, che ebbe le sue prime manifestazioni nella valle del Reno non prima del secolo XII e le ultime del secolo XVI in pieno periodo della Riforma. Una rassegna anche frettolosa dei singoli movimenti, che sono piuttosto numerosi ed assai diversi tra di loro, esorbite­rebbe dai limiti che ci siamo imposti.  
Tensione sociale ed escatologia 


Riesce abbastanza agevole ricostruire l'essenza di questi movimenti dal momento che in essi compaiono costantemente quattro elementi fondamentali: 1) la tensione sociale; 2) la con­danna delle ricchezze; 3) l'ideale egualitario; 4) il miraggio del Millennio. 
 
1) La tensione sociale.  
E' questo il presupposto costante e determinante di ogni movimento chiliastico rivoluzionario, in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo esso si verifichi. Difatti le prime manifestazioni di questo fenomeno storico si hanno soltanto dopo il Mille, cioè in una situazione economica e sociale che comincia a trasformarsi sotto la pressione di .due fattori concomitanti:  
1) il progressivo dissolvimento del sistema feudale, fondato su una economia prevalentemente agricola;
2) l'ascesa dei ceti borghesi, sul fonda­mento di una economia manifatturiera e mercantile.
La ripresa economica viene a determinare in alcune zone d'Europa (special­mente nei Paesi Bassi e lungo la valle del Reno) due piaghe sociali: a) la concentrazione del potere economico nelle mani di una oligarchia mercantile che asservisce l'artigianato e si im­possessa del potere cittadino, determinando in larga misura salari, Orari di lavoro, genere, qualità e quantità della produzione; b) la formazione di un proletariato urbano, costituito. in gran parte di contadini inurbatisi, che soffre dello spietato sfruttamento economico cui è sottoposto -e della condizione sociale e psico­logica che è caratteristica delle plebi urbanizzate: uno stato di impotente isolamento e di permanente insicurezza, perché esse sono esposte senza difesa alle conseguenze delle crisi economiche, delle calamità naturali, dei casi infelici della vita, accompagnato da un senso di ansietà e di 'frustrazione conseguente alla man­canza di una rete di solide relazioni parentali e sociali su cui invece i contadini, pur nelle loro povertà, potevano sempre fare affidamento. Durante tutto il Medioevo questa tensione sociale si fece sentire un po' ovunque, diventando più acuta in certe zone e in certi periodi, quando carestie e epidemie rendevano addirittura tragica la condizione del proletariato urbano.
Il confronto facile e quotidiano della miseria con la ric­chezza delle classi privilegiate (ecclesiastici, nobili, borghesi) accumula risentimenti ed odii che esplodono molto frequente­mente in disperate e disordinate rivolte che finiscono regolar­mente soffocate nel sangue e con un peggioramento della situa­zione precedente. Le azioni rivoluzionarie promosse dai movi­menti millenaristici hanno il loro terreno naturale in queste situazioni croniche o eccezionali e sono sempre le più violente. Sono invece infrequenti nell'ambiente rurale ove le condizioni di miseria, anche se gravi, sono più tollerabili e trovano una compensazione in un maggior senso di sicurezza offerto dal­l'ambiente sociale.  
 
2) La condanna delle ricchezze. 
La condanna delle ricchezze è elemento comune a tutti i movimenti pauperistici, anche a quelli non propriamente rivolu­zionari. I pauperes vi arrivarono in modo abbastanza facile e logico, perché favoriti dal concetto che si era sempre avuto della povertà nel mondo cristiano.  
La Chiesa, anche quando si era mondanizzata e arricchita, non aveva mai cessato' di esaltare la povertà come una condi­zione di perfezione. spirituale. Quando nella Chiesa, diventata gerarchia e massa, comparve per reazione il santo di professione, il monaco che rinuncia al mondo, la povertà diventò un requisito della santità. E per essere giusti, questo non avvenne soltanto nell'ambito della vita monacale. Un secolo prima di San Fran­cesco, San Norberto, pure essendo arcivescovo, elesse la povertà come sua norma di vita e andò in giro per il mondo vestito di cenci. Ma pure esaltando la povertà la Chiesa non la considerò mai un dovere, come non considerò mai un dovere la castità. Consentì che diventasse un dovere solo nell'ambito di una regola monacale. E soprattutto non ritenne mai che la glorificazione della povertà implicasse la condanna della ricchezza. Il pensiero dei Padri e dei Dottori della Chiesa su questo punto non offre dubbi. Esso si trova riassunto e riaffermato in S. Tommaso, il quale ritiene che la Provvidenza assegni agli uomini varie condi­zioni di vita ed il ricco non abbia altro dovere che quello di fare generose e meritorie elemosine ai poveri. Seguendo questa linea di pensiero si arrivò all'assurdo di pensare che la povertà fosse una buona cosa, perché forniva l'occasione di fare delle buone opere [1]
Ma i pauperes hanno una visione più rettilinea e coerente del rapporto povertà-ricchezza. Da una parte essi accettano come valida la glorificazione della povertà come stato di perfezione cristiana, come Imitatio Christi, ma dall'altra essi risalgono, oltre la Chiesa e lo stesso monachesimo, all'evangelo e sono convinti di trovarvi la condanna della ricchezza come condizione di ini­quità, come stato di peccato, come empietà. E la cosa è com­prensibile. Il monaco o l'asceta elegge volontariamente la povertà, perché ha imparato che la ricchezza è un impedimento alla perfezione cristiana. Ma il povero esperimenta sulla sua pelle che la ricchezza significa iniquità, perché la sua povertà non è sempre il prodotto di cause di cui nessuno ha colpa o dell' omissio operarum dei ricchi, ma purtroppo e molto spesso la conseguenza di uno spietato sfruttamento da parte di altri. Una volta riconosciuta la ricchezza come iniquità e peccato, essa si trova ovviamente sottoposta al giudizio di Dio. E questo giudizio coinvolge con i ricchi, e con maggior rigore, la Chiesa che è sfacciatamente ricca e quindi profondamente empia. L'odio dei pauperes per la Chiesa ha al suo fondo questo motivo. E' in epoca medievale e non già nella Riforma che la Chiesa viene identificata con la meretrice dell'Apocalisse. In fondo, oscura­mente, i pauperes accettano dalla Chiesa anche l'insegnamento che la povertà è una condizione voluta dalla Provvidenza, ma per rovesciarla in una condizione di elezione. E' un fatto che nei movimenti pauperistici di ogni tempo è molto frequente questa pretesa: che i poveri, proprio a motivo della povertà, non solo hanno il diritto di denunciare come ingiusti e nemici di Dio i ricchi, ma non abbiano bisogno di altro per essere a posto con Dio. Non sono i poveri che debbono cambiare, ma i ricchi. I poveri, soltanto perché poveri, sono i giusti, sono i santi, gli eletti, il Popolo di Dio, ed entrano di diritto nel Regno dei cieli. I pauperes sono difatti affascinati dalla parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone, che è certamente una parabola per i ricchi, non per i poveri [2]. Questo primo e fondamentale fraintendimento dell'evan­gelo non porta da solo e necessariamente i movimenti pauperistici a diventare rivoluzionari, ma li predispone a diventare tali non appena sorga qualche profeta ad annunziare che i poveri sono chiamati ad essere gli strumenti materiali del Giudizio di Dio.  

3. L'ideale egualitario.   
Alla condanna delle ricchezze si aggiunge l'ideale eguali­tario. Ma i movimenti chiliastici rivoluzionari non lo derivano dall'evangelo o dall'esempio della comunità di Gerusalemme in Atti IV-V, perché qui è attuata semplicemente una comunanza volontaria di beni e nel solo ambito della chiesa. L'ideale eguali­tario consiste nell'abolizione della proprietà ed in una comunanza di beni da attuarsi nell'intera società, anzi nell'intero mon­do. E' difficile rintracciarne le origini nel Nuovo Testamento. Anche il regno millenniale o la Nuova Gerusalemme dell'Apocalisse non offrono appigli per una concezione del genere. E difatti I'ideale egualitario è stato trasmesso al Medioevo dal mondo antico e più precisamente dalla letteratura greco-latina.  
Esso è già chiaramente lumeggiato nei riti dell'Età del­l' Oro e del Regno di Saturno (resi popolari da Virgilio, Ovidio e Luciano) come uno stato di natura originario in cui non c'era proprietà e non c'era bisogno di lavorare perché la natura dava tutto in abbondanza. Assume una forma filosofica nel pensiero stoico (in Zenone e in un'opera anonima del II secolo a.C., le Isole dei Beati) ed anche in quello di alcuni gnostici (in un'opera attri­buita a Carpocrate, Sulla Giustizia) in cui questo stato di natura è caratterizzato dalla comunanza dei beni, delle donne e dei figli, dalla pace, dalla libertà e dalla longevità. Si tratta di un tipico ideale anarchico-comunistico. Ma questo ideale conserva sempre il carattere di mito, e di mito nostalgicamente proiettato nel passato. Seneca, che a sua volta fa la lode dell'antico ordine egua­litario, lo considera definitivamente perduto.
I Padri della Chiesa (S. Agostino, S. Cipriano, S. Zeno, S. Ambrogio) riprendono questo concetto pagano e lo cristianiz­zano facendone un originario stato naturale voluto da Dio ma andato perduto in conseguenza della caduta. Più che mai proiet­tato indietro e dogmaticamente sepolto sotto la pesante pietra del peccato originale, l'ideale egualitario cessa del tutto di essere efficace sul piano sociale. Tuttavia lo vediamo sopravvivere te­nacemente al crollo del mondo antico e riapparire nella lettera­tura medievale (Decretum di Graziano) e addirittura trovare una seducente volgarizzazione nel “Roman de la Rose” di Jean de Meun.
Noi lo ritroviamo nella sua versione cristiana in molti dei movi­menti ereticali del Medioevo e persino nella sua originaria e integrale forma pagana in quel vasto e sconcertante fenomeno ereticale-rivoluzionario che è il movimento dei Fratelli del Libero Spirito. Con la differenza che ora l'ideale egualitario, grazie alla mediazione dell'escatologia popolare, viene distaccato da un per­duto Passato e proiettato in un Futuro imminente o in un Presente da realizzarsi subito. Così al Millennio viene attribuito quel contenuto di giustizia sociale e mondana che esso non ha certamente nell'immagine che ce ne offre l'Apocalisse. 
 
4. Il miraggio del Millennio.   
Il venir meno dell'attesa escatologica e la mondanizzazione della Chiesa andarono di pari passo. Le prime generazioni cri­stiane dirigevano le loro speranze ed anche i loro timori verso un Futuro incombente su ogni ora di questa giornata terrena e ave­vano nell' escatologia un potente antidoto contro le seduzioni di un mondo già definitivamente giudicato. Cedendo all'influenza dell' ellenismo, questo equivalente spirituale deI costantinismo, la Chiesa convogliò ben presto queste speranze e questi timori in un'altra direzione, e cioè da questa vita nell'aldilà, nella condi­zione che attende l'individuo dopo la morte.
 
Tuttavia la tradi­zione apocalittica, rigettata dalla dottrina ufficiale o resa innocua dall'interpretazione che se ne dette (Agostino), continuò a vivere sotterraneamente nella religione popolare. La purezza della tradi­zione giovannea andò però perduta attraverso contaminazioni varie con la tradizione apocalittica dell'ebraismo ellenistico. Ac­canto all'Apocalisse canonica comparvero quegli Oracoli Sibillini che sono responsabili di aver trasmesso al Medioevo un'escato­logia che sotto due aspetti per lo meno non è più quella della Chiesa primitiva:
1) il Cristo che deve venire non è più lo Sposo atteso dalla comunità apostolica ma accentua ed esagera i caratteri del Cristo guerriero e giustiziere dell'Apocalisse;
2) il Cristo non è più come nella tradizione giovannea l'unico salva­tore escatologico, ma accanto ad esso se ne colloca un altro che lo precede cronologicamente, l'Imperatore degli ultimi tempi, che verrà via via identificato con Costantino, Costante, Carlo Magno, Baldovino, Enrico IV, Federico II ed altri innumerevoli sovrani, e con cui pretenderanno di identificarsi purtroppo anche molti capi messianici dei movimenti chiliastici rivoluzionari. E' a questo Imperatore escatologico, versione pseudo-cristiana del­l'ellenistico sovrano divinizzato (il Soteros), che l'escatologia popolare medievale assegna spesso il compito mondano di fare giustizia e di riparare ai mali del mondo, suscitando l'irosa rea­zione dell'Anticristo, contro cui combatteranno le milizie dei Santi. Anche quell'autentica rinascita del profetismo evangelico ed ortodosso che si ebbe nel Medioevo con Gioacchino da Fiore lasciò soltanto depositi pericolosi nel limaccioso fiume dell'esca­tologia popolare, legittimando talvolta anche interpretazioni post­cristiane del carattere del Millennio [3]

Ma per quanto adulterata e torbida, questa escatologia con­serva un carattere fondamentale di quella della chiesa primitiva: in essa il Tempo della Fine è certissimo ed imminente. In ogni istante è sul punto di realizzarsi. Ogni imperatore che sale al trono è lo sperato Ultimo Imperatore; ogni calamità un segno preannunciatore della venuta dell'Anticristo; ogni predicatore che denunci le iniquità della chiesa e della società, uno dei Profeti-Testimoni dell'Apocalisse. L'attesa escatologica è mantenuta tesa da una situazione esteriore lancinante ed ossessionante, come già accadde nel secolo II d.C. col Montanismo, soltanto che al posto delle persecuzioni abbiamo questa volta le pestilenze, le carestie e l'indicibile miseria delle masse popolari.
E' proprio l'elemento escatologico a trasfigurare e ad amal­gamare tra di loro i vari elementi che entrano a costituire l'essen­za del chiliasmo rivoluzionario, unificandoli in un coerente mito sociale. La visione escatologica traduce in immagini escatologiche gli elementi umani e mondani della situazione sociale. Queste immagini con la forza di suggestione che sprigionano suscitano un'immensa carica emozionale, che offre in tutti i casi un intenso sollievo allo stato di frustrazione, di insicurezza e di ansietà, ma purtroppo spesso anche trova sfogo in folli avventure rivo­luzionarie che finiscono sempre in sanguinosa tragedia.  
 
Le immagini escatologiche 
 
Soffermiamoci a considerare sia pur rapidamente alcune delle immagini escatologiche più ricorrenti nel chiliasmo rivoluzionario.
1) Il capo paracletico è senza dubbio l'immagine chiave e l'elemento indispensabile del quadro escatologico. Che sia un laico oppure un frate apostata (mai un uomo regolare di chiesa) esso deve essere accompagnato agli occhi dei suoi seguaci dai segni carismatici che confermano la sua vocazione ed elezione (eccezionale personalità, straordinaria potenza di parola e di guarigione, rivelazioni, visioni, fede accesa e comunicativa, ecc.).
Esso assume invariabilmente il carattere e le funzioni di uno dei personaggi della tradizione escatologica (uno dei due Profeti, l'Imperatore degli ultimi tempi, un re messianico, sino all'identificazione con lo stesso Cristo e con Dio!). Diventato un perso­naggio escatologico vivente, il Capo esercita una autorità asso­luta ed indiscutibile sui suoi seguaci, i quali hanno bisogno di vedere in lui riflesso il soprannaturale in modo da esserne esal­tati e fanatizzati. Questi capi, che molto spesso non provengono dal popolo, hanno un'intuizione infallibile della loro funzione psicologica e questo spiega il carattere largamente mistificatorio della figura che assumono. Tanchelmo, Eude de l'Etoile, Emico (nel sec. XII), lo pseudo Baldovino, il Maestro d'Ungheria (nel sec. XIII), per nominare solo alcune delle più fantastiche personalità che compaiono nel chiliasmo rivoluzionario, quando non sono dei megalomani sono dei raffinati seduttori che accet­tano di recitare il ruolo che più suggestiona i loro fanatici seguaci: quello del personaggio escatologico che proclama il Tempo della Fine e più ancora incarna la collera di Dio nel modo più terribile ed intransigente. 
2) Un'altra figura essenziale del dramma apocalittico è quella del Nemico escatologico. Finché il tempo della pazienza di Dio non sia spirato si ha ancora davanti un miscredente o un peccatore che può ravvedersi e cambiare. Ma quando quel tempo è spirato per dar luogo al Tempo della collera di Dio, il miscre­dente ci il peccatore diventa l'empio da distruggere, il nemico di Dio da annientare. E proprio in quanto nemico di Dio, l'empio perde anche i suoi connotati umani per assumere connotati dia­bolici, quindi abissalmente ripugnanti ed odiosi. Il nemico escato­logico nella storia dell'azione violenta dei pauperes è stato via via il maomettano, l'ebreo, l'ecclesiastico o il ricco epulone, ma sempre questa immagine ha esplicato con terribile efficacia una triplice funzione: quella di chiudere l'adito ad ogni sentimento di pietà, di suscitare e concentrare una carica di passionalità esplosiva, di offrire infine a questa un oggetto ben definito contro cui scaricarsi. 
3) Una terza immagine escatologica è l'Armata dei Santi. La sua necessità psicologica è facilmente giustificabile con il biso­gno, che si rivela in tutte le manifestazioni medievali del senti­mento religioso dei poveri, di entrare in un «gruppo salvazio­nista » consacrato ad un'opera santificante. E' questo un rimedio ed una compensazione al senso di alienazione e frustrazione che deriva-da una situazione mondana collettiva particolarmente dolo­rosa -e mortificante. NeL Medioevo questo fenomeno si manifesta dapprima nelle costruzioni di chiese e di santuari e nei pelle­grinaggi collettivi, in seguito nelle crociate dei poveri ed infine nelle imprese eversive dei movimenti chiliastici. La salvezza non consiste tanto nell'appartenenza al gruppo salvazionista, che di per sé è limano e quindi non salvifico, quanto nella dedizione completa ad un'opera collettiva concepita come « santa» o anche ad un capo cui si attribuisce una « santità» che gli deriva esclusi­vamente dalla figura o dall'opera escatologica che incarna. I «santi» sono tali per pura e semplice partecipazione all'opera « santa »: è una santità che non ha niente di individuale e soprat­tutto non ha niente a che vedere con il concetto tradizionale di «santità». Questi santi (capi o gregari che siano) possono quasi sempre sono dei terribili peccatori nel senso tradi­zionale di questo termine, perché quando non depredano, ammaz­zano o stuprano, vivono nell'ozio, nella crapula e nel lusso; ma nessuno può strappar loro la convinzione di essere «santi» finché essi sono gli strumenti della giustizia di Dio. 
4) Quarta ed ultima figura del chiliasmo rivoluzionario è l' opera escatologica collettiva. L'opera escatologica, come qual­siasi opera collettiva del gruppo salvazionista, viene decretata dal Capo paracletico, è strettamente collegata con il personaggio escatologico che il Capo incarna e si adatta volta a volta alle circostanze storiche. L'escatologicità dell'opera consiste nel suo rientrare nell'ordine degli eventi escatologici mutuati dalla tradi­zione apocalittica. Praticamente però essa finisce per limitarsi alla pura e semplice distruzione degli empi, come necessaria pre­parazione all'instaurazione del Regno Millenniale, ed allora essa assume una connotazione tremendamente precisa. I Santi sanno di fare la Vendetta di Dio ed uccidere senza pietà diventa una opera doverosa, meritoria, santa. La storia dei movimenti chilia­stici rivoluzionari è fatta di pagine di orrore (e molto spesso di inutili efferatezze consumate anche ai danni degli innocenti), che ci tolgono anche l'ultimo dubbio che si possa parlarne come di movimenti cristiani. 
I tentativi di instaurazione della società egualitaria hanno un carattere troppo impreciso, provvisorio o contingente, perché possano fornire indicazioni più positive che negative. Non si può instaurare certamente il Regno millenniale finché si combatte il Nemico escatologico, anche se l'esito della battaglia è scontato. Ma rientra nel compito del Personaggio escatologico vivente; anticipare per lo meno nell' Armata dei Santi, anche se in modo approssimativo, le condizioni egualitarie, la perfetta gioia e la gloria del Regno millenniale. Ecco quindi la completa comunanza dei beni, e spesso delle donne, i banchetti messianici, le feste, i costumi sfarzosi e tante altre cose altrimenti incomprensibili della vita comunitaria del gruppo escatologico. Per ragioni che sono ovvie si tratta di un comunismo di consumo e non di produzione, quale si addice ad un Popolo che è anche un Esercito accampato in mezzo al nemico. Ma anche quando i Santi possono concedersi una pausa ed hanno agio di organizzare meglio la loro vita comunitaria (come accade in certi gruppi di Taboriti) noi vediamo che la loro' visione del comunismo esclude rigorosamente il lavoro. Questo dunque, abolito il servaggio dei padroni, appare come l'ultima servitù, quella di dover mangiare col sudore della fronte. Il che ci dice che se i pauperes si muovono sotto la pressione di istanze di giustizia sociale, queste vengono più o meno inconsciamente proiettate in una mitica concezione della comunità che è insieme ingenua ed equivoca, perché fonde in una sola immagine il regno di Saturno e quello di Cristo, con una netta prevalenza degli elementi pagani su quelli cristiani. Il regno millenniale infatti viene sempre concepito come qual­cosa di non molto diverso da questa vita mondana, come una nuova più felice ma sempre edonistica condizione umana in cui si è liberi da necessità, servitù e leggi, ma solo per vivere insieme lietamente e senza far niente. E soprattutto non si trova prati­camente mai al centro di questo vago quadro del Regno la figura di colui che dovrebbe esserne illegittimo re e costituirne l'unico elemento sicuro e reale, Gesù Cristo.
Quanto di cristiano?  

Dei movimenti chiliastici rivoluzionari si sono tentate inter­pretazioni in tutte le chiavi messe a nostra disposizione dalla cul­tura contemporanea: politiche, giuridiche, economiche, sociolo­giche e psicologiche. Non è mancato anche qualche tentativo di interpretarli dall'interno dell'esperienza religiosa del Medioevo, ma su questa strada senza dubbio assai promettente c'è ancora molto cammino da fare.
Il punto di vista più convincente da cui giudicare questi movimenti sembra ancora quello sociologico. Nel millenarismo rivoluzionario dovremmo riconoscere prevalentemente un mito sociale che si è rivestito delle forme contingenti impostegli da un contesto storico in cui le categorie religiose permeavano tutte le manifestazioni della vita umana. E' questo uno schema interpre­tativo abbastanza funzionale, anche se semplifica e razionalizza il fenomeno tagliandone fuori aspetti che non si possono tanto semplicemente ridurre a proiezioni mitiche di istanze sociali.
Anche quando venga considerato essenzialmente un mito sociale, il chiliasmo rivoluzionario non cessa di essere un feno­meno interessante per chi si chiede come noi qual genere di rapporti possano intercorrere tra cristianesimo e rivoluzione so­ciale su un piano di effettiva verità .

Noi abbiamo studiato Un fenomeno storico la cui dinamica non scaturisce da ragioni interne ad una fede cristiana, ma dalle tensioni di classe caratteristiche di determinate parti della società europea in certi momenti storici. Più che la fede, è la tradizione cristiana a fornire la maggior parte degli elementi che vengono utilizzati nella costruzione di un così coerente mito sociale. Ma se è vero che questi elementi entrano nel mito trasformandosi in impulsi estremamente efficaci, non è men vero che essi vi com­paiono come aspetti avulsi e deformati di una visione la cui natura è fondamentalmente diversa da quella di qualsiasi mito sociale. Questo ci sembra essere il nocciolo della lezione che rica­viamo dal chiliasmo rivoluzionario: quanto di cristiano entra nel mito sociale è utile per la rivoluzione, ma contemporaneamente diventa falso e inservibile da un punto di vista globalmente ed autenticamente cristiano.
Di solito quando si parla di eresie si è abbastanza d'accordo su un equivoco, quello di riconoscere loro il merito di aver rimesso in onore verità trascurate o andate perdute del patrimonio tradizionale della Chiesa. Considerato sotto questo punto di vista il millenarismo rivoluzionario avrebbe restituito im­portanza dottrinale e pratica al motivo escatologico che la Chiesa. storica ad un certo momento aveva ripudiato e soprattutto avrebbe riproposto in termini drammatici il problema del rapporto tra concezione cristiana della vita ed ordine mondano. L'equivoco sta nel ritenere che l'elemento escatologico, come ogni altro ele­mento della tradizione, possa cadere o essere ripristinato senza una profonda ragione pratica, che va cercata esclusivamente al­l’ interno della fede cristiana e più precisamente nella soluzione data al problema del suo rapporto col mondo.
Questo problema la Chiesa se l'era già posto e l'aveva anche risolto, riconoscendo di non poter rimanere estranea all'ordine mondano e di doverne assumere deliberatamente e largamente la responsabilità. IL superficiale giudizio corrente è che l'abbia risolto in modo sbagliato, dando il suo avallo e il suo crisma alle forme politiche," sociali, economiche e culturali delle società sto­riche attraverso cui è passata. Questo giudizio non tiene con­to del fatto che la Chiesa si assunse la responsabilità di . con­servare l'ordine mondano. proprio in un'epoca -storica io cui non c'era altro da fare che conservare, mancando totalmente l'alternativa di un qualsiasi altro ordine. L'errore commesso dalla Chiesa consiste piuttosto, se la storia può insegnarci qual­cosa, proprio nell'aver ritenuto di doversi assumere la respon­sabilità del mondo.
Il chiliasmo rivoluzionario diventa comprensibile solo sullo sfondo di una Chiesa compromessasi sino al collo nei problemi di questo mondo e ancor più nella pretesa di aver dato ad essi una soluzione giusta, definitiva e conforme alla verità cristiana. Ma l'alternativa che esso oppone all'errore della Chiesa non è che una semplice variante dello stesso errore, perché è ancora la pretesa di una vocazione a costruire un ordine cristiano del mondo, anzi l'ordine definitivo ed ultimo, ricorrendo di nuovo a mezzi umani santificati da nuovi e più presuntuosi crismi. Nell'uno e nell'altro caso, all'errore di pretendere che la voca­zione cristiana sia quella di dare un ordine al mondo si aggiunge quello di presumere che Dio conceda all'uomo qualche suo autorevole sigillo con cui garantire la giustizia di un ordine mon­dano. E difatti nell'uno e nell'altro caso, il marchio di garanzia risulta regolarmente falso.
Se là c' è la presunzione sacerdotale di aver ricevuto da Dio ogni autorità in cielo e in terra e di poter parlare ed agire nel suo nome, qui c'è la presunzione paracletica di poter disporre delle «cose ultime» e di essere gli strumenti diretti del Giudizio di Dio. Alla falsità dei carismi e dei sacramenti che impartisce la Chiesa dell'Anticristo, corrisponde la falsità delle vocazioni, delle rivelazioni e delle unzioni di cui si vantano i sedicenti pro­feti e re messianici del millennio. Se falsi cristiani sono i ricchi e i potenti che credono di essere a posto con Dio solo perché la chiesa li accoglie e li onora, altrettanto lo sono, anche se più pietosamente, questi poveri, sfruttati ed oppressi che soltanto per essere tali s' illudono di essere i Giusti e gli Eletti del Regno. Il cristo dipinto di rosso da cui si faceva precedere Thomas Müntzer non era un emblema più cristiano del cristo d'oro che pendeva dal collo dei principi della Chiesa. E se la lunga storia della Chiesa è piena di vergogne e di infamie, i brevi capitoli che in confronto ha scritto il chiliasmo rivoluzionario sono un denso spaventoso campionario di orrori e di aberrazioni. Il cristia­nesimo di coloro che fanno la rivoluzione nel nome di Cristo non ci appare più vero né migliore di quello di coloro che nello stesso nome di Cristo difendono lo stato e la proprietà. Al confronto con l'evangelo di Gesù Cristo non regge la Chiesa dei ricchi e dei potenti, come non regge il millennio dei poveri e dei fanatici. 
 
 


© Ugo Gastaldi
 
NOTE



[1] E' incredibile. come questa opinione fosse diffusa e condivisa persino da persone colte anche oltre il Medioevo. Quando Lutero agli inizi della Riforma ebbe ad affermare che l'accattonaggio avrebbe dovuto scomparire in tutta la Cristianità, suscitò la scandalizzata reazione di un suo avversario cattolico, Gerolamo Emser, che lo definì "un picardo piuttosto che un cristiano" perché i Picardi hanno la pratica di non permettere che alcuno di loro vada mendicando... Ma Alessio si guadagnò il cielo col mendicare e Martino ed Elisabetta come anche Edvige e tutti i servi di Dio piacquero il Dio facendo elemosine… Come l'acqua caccia il fuoco così le elemosine tolgono via i peccati. ,Perciò non è buona cosa che si smetta di mendi­care; verrebbero il cessare con  questo una quantità di buone opere ! » (citato da L. Verduin, Tbe Rejormers and tbeir Stepcbildren, Grand Rapids, Michigan, 1964, p. 239).  
[2] Non ci deve sorprendere che nel Medioevo si sia giunti -a questo singolare fariseismo della povertà, se persino ai nostri giorni si arriva ad .affermazioni di questo genere: «Che questi (i poveri, gli umili, i rifiutati, gli oppressi) aderiscano o meno alla Istituzione ecclesiastica, in loro è vivo e operante -lo Spirito di Cristo povero, umile, rifiutato e oppresso. Essi sono il fondamentale sacramento di Cristo e per questo essi sono la parte più vitale del popolo di Dio, la base priina della sacra­mentalità e della missione della Chiesa ... Gesù chiama suoi fratelli gli affamati, gli assetati, i diseredati, i sofferenti e i carcerati. Se li chiama fratelli è segno che essi fanno la volontà del Padre ...» (Comunità dell'Isolotto), Incontro a Gesù, p.9). 

[3]  Konrad Schmid, il cosidetto «messia dei flagellanti» (1360), che pretese di essere l'imperatore Federico II risorto ed il compitore delle profezie di Isaia, riteneva che Cristo fosse soltanto il suo precursore e che il sistema cristiano dovesse essere soppiantato da un sistema più alto, quello che egli, nuova incarnazione di Dio, era venuto ad annunziare.

 









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