Disapprovo quello che dici,
ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
A cura di Salvatore Di Cristofalo
Questo apoftegma, attribuito a Voltaire ma forse scritto da Evelyn Beatrice Hall, mette l’accento sul rispetto del pensiero altrui. Concetto di tolleranza e libertà spesso calpestato.
E’ fin troppo evidente come nel corso dei secoli non solo tal principio sia stato disatteso ma, spesso e volentieri, ci si è battuti fino alla morte affinché il pensiero dell’altro fosse invece soffocato. E’ l’antico desiderio che ha l’uomo di prevaricare sull’altro. Per far ciò si preferisce ridurre al silenzio piuttosto che affrontare un eventuale pensiero “dissidente”.
Nelle comunità evangeliche congregazionaliste capita spesso che vi sia un pastore che sovraintende alle decisioni e alle scelte dottrinali e organizzative della comunità. In così organizzate comunità, la sua parola diventa l’ultima parola. Non si vuole tacciare di errore interpretativo biblico tale modo di vedere e organizzare la comunità, sempre che ciò sia voluto e scelto liberamente dai membri della comunità, ma ciò comporta inevitabilmente che la comunità non è fatta di membri uguali. Come dire che vi sono membri che sono più “uguali” degli altri. Succede così che il tanto contestato mondo cattolico diviso in clero e laici viene di fatto scopiazzato con l’aggravante che mentre la chiesa cattolica è forte di una organizzazione gerarchica e forte tradizione radicata nella storia, le comunità cristiane congregazionaliste che usano comunque il verticismo, si affidano alla cultura, sensibilità, carismi di una sola persona. Nulla di male se non fosse per il fatto che spesso il ruolo del pastore è confuso con chi detiene il potere, con chi comanda, con chi calpestando il diritto di espressione impone con caratteri autoritari il proprio pensiero.
Quello che con semplicità di parola è appena stato descritto non corrisponde con tanta semplicità e chiarezza nella realtà della vita di queste comunità. Ovvero il pastore-padrone potrebbe non solo essere abile di parola tale da emergere in un uditorio di media cultura, ma abile a manipolare gli argomenti biblici a seconda dei propri obiettivi e a seconda delle opportunità e, di conseguenza, far credere che è della comunità quello che in realtà è un suo pensiero. Un così fatto uomo manipolatore e seduttore è indubbiamente dotato di qualità non indifferenti che se messe al servizio della comunità diventano edificazione, ma se ciò è inteso a strumentalizzare le adunanze per un personale obiettivo, per smanie di potere, per ricevere i complimenti della platea, ciò contravviene ai più elementari concetti di santità e di valori cristiani.
Strumentalizzare il pulpito è di per se atto ripugnante, ma se ciò è operato più o meno velatamente, in modo subdolo, a tale abilità sovente non corrisponde una accorta consapevolezza da parte della Comunità dei credenti. In altre parole chi usa il pulpito per imporre il proprio pensiero potrebbe essere tanto abile da non farsene accorgere.
Questo si incastra con il fatto che la predica, come da tradizione protestante, è spesso considerata come il culmine del giorno dedicato al Signore, il messaggio per i credenti, si capisce come tutto quello che è detto e si ascolta dal pulpito può diventare edificante o distruttivo. Il “messaggio”, come parte apicale di una adunanza, non ammette repliche; diventa arma letale di chi manipola a proprio discernimento e non secondo la voce dello Spirito.
D'altronde, affermare che vi siano giorni dedicati è ammettere che ve ne siano non dedicati al Signore, scadendo in un riduttivo legalismo che non può essere condiviso alla stessa stregua del fatto che quanto detto a parole non può prescindere da una fattività su campo. Resta, infatti, sempre valido il principio dell’autorevolezza coerente in parole e fatti.
Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti. (Mt 7:20)
Non dalle prediche bensì dai frutti.
Non si può quindi predicare l’amore fraterno la sottomissione gli uni con gli altri e comandare e proibire in nome di una autorità che così espressa diventa autoritarismo. E dove vi sono uomini che comandano o proibiscono non può regnare la grazia dello Spirito Santo.
Non a caso, allorquando la comunità riconosce e designa, più o meno stabilmente, dei “Servitori della Parola” o dei “Pastori”, resta valido il principio della libertà di predicazione (1 Cor. 14:30). Tale principio mi garantisce: che è sempre e comunque lo Spirito Santo a parlare ai credenti e in quanto tale si serve di chi vuole (anche di bambini); che tutti siamo uguali; che non vi è nessuno dotato di poteri speciali.
Ovviamente in una Comunità di credenti consapevole di essere un unico corpo non c’è chi parla e chi ascolta, ma tutti sono invitati all’ascolto. Ciò prevede una grande dose di umiltà che è inversamente proporzionale al ruolo che si svolge: tanto più sono predicatore ancor più devo essere umile da ascoltare il fratello.
Un messaggio non può che essere coerente in argomenti insegnati da Gesù, coerente nel tempo ovvero non può cambiare con le epoche, coerente nel rispetto della dignità dei fratelli, coerente con la giustizia, l’umiltà e la misericordia, doni graditi a Dio. Tale messaggio è autorevole e la persona che lo proferisce dimostra tutta la sua autorevolezza, d’altronde riconosciuta tale dalla Comunità dei credenti.
Un messaggio non può assolutamente essere di parte, indirizzato a soddisfare e a compiacere il singolo o un gruppo di fratelli sostenitori, costruito per trovare consenso al proprio pensiero e creare un gruppo fidelizzato. Non può assolutamente essere proferito per denigrare e screditare in pubblico un fratello o una confessione religiosa differente dalla propria. Non deve essere basato, infatti, sull’evidenziare i difetti delle altrui dottrine, degli altrui pensieri per rafforzare in tal modo le proprie convinzioni.
Chi è così particolarmente abile seduttore di masse è in grado di parlare a nome della Comunità , quando la Comunità non è neppure interpellata. Ovvero, proferire parole come se venissero dalla volontà di tutta la comunità, quando invece si tratta di affermare il pensiero e i desideri propri o di pochi adepti.
E così un giorno l’abile predicatore dice di avere sentito la Comunità desiderare una cosa e dopo qualche settimana riferisce di avere sentito la Comunità desiderare tutto il contrario. E sia nella prima, sia nella seconda occasione la Comunità tutta ne è all’oscuro.
In altri casi l’abile predicatore si fa forte delle affermazioni proferite in nome della Comunità sol perché un gruppetto di “fratelli” bussa alla sua porta per mormorare su circostanze e/o fatti che riguardano altri fratelli. Il pettegolezzo impera!
Il Pastore anziché aborrire tale procedura e consigliare di dipanare i dissidi vis à vis come suggerito nei primi versi del capitolo 18 di Matteo, incoraggia tale pratica al punto da saltare direttamente all’applicazione del verso 17 dello stesso capitolo, forte del fatto che: la Comunità gli ha detto… .
Il lavoro del predicatore così fatto si traduce in abile seduzione che nulla ha a che fare con l’accompagnare la Comunità alla scoperta di una vera comunione con Dio. Tale pratica si discosta anni luce da quella di quell’uomo rivoluzionario che ha desiderato parlare alle masse con l’autorevolezza di chi desidera attraverso il dialogo "tirar fuori" dal discepolo deduzioni assolutamente libere e personali. Al contrario di quanti vogliono imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l'arte della persuasione, Gesù agiva come la levatrice che aiuta il neonato a venir fuori dal grembo materno. Tali cattivi maestri non fanno altro che condurre le Comunità attraverso piste già battute nel passato da Pastori-padroni, da dottori della legge, Scribi e Farisei, caricando ancora oggi, come allora, i credenti di pesi che loro stessi evitano di portare.
Ma c’è dell’altro.
L’uomo non ama caricarsi di responsabilità. Dall’amministratore del condominio ai rappresentanti scolastici assistiamo ad un desiderio diffuso di delega delle responsabilità. Anche in fatto di educazione religiosa, preferiamo uno scarica barile ovvero che vi sia una categoria deputata a far ciò piuttosto che responsabilizzarci e curare questa parte in prima persona. E’ più comodo. Così, come il genitore delega al professore di religione l’educazione in questo campo dei propri figli, o al prete la cura spirituale, allo stesso modo il credente delega al pastore il parlare secondo lo spirito di Dio. Il pastore della comunità diventa in tal senso una autorità se non l’autorità. Tale comportamento di fratelli e sorelle è dettato in parte da una caratteristica endemica ma anche da anni e anni di così fatta conduzione delle sopra citate comunità. Nonostante la riforma protestante ha posto le basi per una protesta nei confronti di un clero della chiesa cattolica romana corrotto, non ha allo stesso modo posto particolare attenzione anche all’aspetto di uguaglianza dei membri e come tali responsabili davanti a Dio. Ad eccezion fatta per il gruppo considerato allora eretico degli Anabattisti, pur con i doverosi distinguo, gli autori della riforma erano lungi dal pensare ad una responsabilità condivisa tra i membri.
Ma, chi è l’autorità nella chiesa dei santi?
Un cattolico romano direbbe immediatamente, il Papa. Ma la risposta non è altrettanto facile per un cristiano non cattolico. Se infatti si rispondesse, il pastore, non si avrebbe nessuna differenza con il mondo cattolico. Se si rispondesse un collegio di anziani si ammetterebbe di fatto l’esistenza di un clero all’interno della chiesa, dotato di speciali poteri che si pone al di sopra degli altri e li renda quindi diversi.
Riflettiamo insieme nello spirito.
Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». (Mt. 18:20)
Se quindi due o tre credenti sono riuniti nel nome di Gesù Egli è lì, presente con il suo Spirito. Da queste semplici parole si intuisce che non serve una persona speciale, ma riunirsi nel nome della persona speciale, Gesù.
E non è difficile affermare a parole che lo Spirito è l’unico reale vicario di Cristo. Ovunque si riuniscono i discepoli, nel nome di Gesù, ivi è presente la vera Chiesa; senza alcuna necessità di riconoscimenti o autorizzazione di una qualsivoglia “autorità “ religiosa. Una chiesa di credenti che hanno a proprio modello Gesù, implica che tutti quelli che ne fanno parte sono depositari dell’autorità.
Gesù, quindi, la sua persona, nel suo nome, a Sua immagine diventano i riferimenti del credente. Egli è l’AUTORITÀ.
E che Gesù sia non una autorità , ma l’AUTORITA’ presente nella chiesa di ieri e di oggi, non è difficile intuirlo anche attraverso diversi episodi biblici che ci descrivono oltremodo come tale autorità fosse esercitata:
Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti questi discorsi, le turbe stupivano del suo insegnamento, perch'egli le ammaestrava come avendo autorità, e non come i loro scribi. (Mt 7:28)
E quando fu venuto nel tempio, i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentr'egli insegnava, e gli dissero: Con quale autorità fai tu queste cose? E chi t'ha data codesta autorità? 24 E Gesù, rispondendo, disse loro: Anch'io vi domanderò una cosa: e se voi mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio queste cose. 25 Il battesimo di Giovanni, d'onde veniva? dal cielo o dagli uomini? Ed essi ragionavan fra loro, dicendo: Se diciamo: Dal cielo, egli ci dirà: Perché dunque non gli credeste? 26 E se diciamo: Dagli uomini, temiamo la moltitudine, perché tutti tengono Giovanni per profeta. 27 Risposero dunque a Gesù, dicendo: Non lo sappiamo. E anch'egli disse loro: E neppur io vi dirò con quale autorità io fo queste cose. (Mt 21:23)
E tutti sbigottirono talché si domandavano fra loro: Che cos'è mai questo? È una dottrina nuova! Egli comanda con autorità perfino agli spiriti immondi, ed essi gli ubbidiscono! (Mc 1:27)
Ora, affinché sappiate che il Figliuol dell'uomo ha sulla terra autorità di rimettere i peccati: Io tel dico (disse al paralitico), lèvati, togli il tuo lettuccio, e vattene a casa tua. (Lc 5:24)
...e gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figliuol dell'uomo. (Gv 5:27)
E in tante altre occasioni è dimostrata l’autorità di Gesù. Ma la disamina sull’autorità di Gesù va oltre.
Quello che spesso si omette è che Gesù esercita la sua autorità con autorevolezza: egli è quindi autorevole. Autorevole è colui il quale è attendibile, affidabile, sicuro, esperto, coerente. E noi, che come cristiani abbiamo a modello Gesù, non possiamo prescindere dal considerare anche questo aspetto della sua figura per essere suoi discepoli.
Solo una persona autorevole può fare promesse e solo una persona autorevole è coerente al punto da mantenerle. E Gesù ha rispettato le sue promesse di salvezza fino al punto da morire in croce per mantenerle.
Gesù quindi, è una autorità autorevole che per noi cristiani diventa l’AUTORITA’.
Gli episodi raccontati nei vangeli sono costellati dalla forte contrapposizione di Gesù con i cosiddetti dottori della legge, con gli Scribi e i Farisei, della Grazia in contrapposizione alla Legge, dell’Amore in contrapposizione alle regole, in definitiva dell’autorevolezza di Gesù in contrapposizione all’autoritarismo dei religiosi. Gesù non a caso contendeva su questi argomenti con chi, fregiandosi di titoli, insegnava dottrine che sono precetti d’uomini.
Costoro pur essendo una autorità (conoscevano infatti fin troppo bene la legge) soffrivano di incoerenza, erano inaffidabili e costringevano il popolo, con fare dispotico e autoritario, a una interpretazione della legge orientata sul proprio io che imponeva al popolo applicazioni di gravi pesi che loro stessi evitavano di portare.
Lc 11:46
Ed egli disse: «Guai anche a voi, dottori della legge! Perché caricate gli uomini di pesi difficili da portare, e voi non toccate questi pesi neppure con un dito.
Mt 23:13
Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; poiché né entrate voi né lasciate entrare coloro che stanno per entrarvi.
Mt 23:14
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché divorate le case delle vedove e per pretesto fate lunghe preghiere; per questo subirete una condanna più severa.
Lc 11:43
Guai a voi farisei! Perché amate il primo posto nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze.
Quale contrasto con l’autorità di Gesù! Egli l’ha sempre esercitata per il bene, e non ha mai cercato di prevalere per imporre agli uomini la sua potenza. Mentre i potenti di questo mondo cercano di dominare, Gesù è vissuto in mezzo ai suoi “come colui che serve” (Luca 22:27).L’autorevolezza di Gesù si contrapponeva allora come si contrappone adesso all’autoritarismo degli “Scribi e dei Farisei” presenti in maniera più o meno palese nelle Comunità di oggi.
In nessun caso Gesù prevarica il pensiero e la volontà dell’uomo. Egli propone la sua parola di grazia non la impone mai. Lascia all’uomo la facoltà di entrare o non entrare nel suo regno. D’altronde Dio che nella sua onnipotenza avrebbe potuto imporre il suo amore, la sua grazia, preferisce lasciar libero l’uomo di decidere: quale meraviglioso atto di amore!
E così, anche da ciò, si comprende come qualsiasi imposizione, qualunque atto autoritario è elemento che si contrappone al vero pensiero del discepolo di Gesù. In nessun caso, infatti, Gesù mostra una autorità autoritaria contro chi è fatto ad immagine di Dio, l’uomo.
Egli si impone come autorità autoritaria solo contro chi fa soffrire la creatura di Dio, solo contro chi ne desidera la morte.
Gesù, vedendo che la folla accorreva, sgridò lo spirito immondo, dicendogli: «Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non rientrarvi più». Mc 9:25
E questo ordine delle cose, per chi si definisce discepolo di Gesù, non può essere sovvertito!
E questo ordine delle cose, per chi si definisce discepolo di Gesù, non può essere sovvertito!
Ma la distinzione non è sempre così netta, spesso per camuffare l’autoritarismo in famiglia, nella società come in Comunità si ricorre alla formula “a fin di bene”.
E così come il padre-padrone picchia il proprio figlio per correggerlo, allo stesso modo il pastore/i – padroni “picchiano” il gregge di Gesù per disciplinarlo. In questa ottica sviata avviene che per il bene della comunità si disciplina il fratello, lo si riduce al silenzio, lo si mette alla gogna, lo si allontana, lo si … scomunica. Commettendo di fatto un vero e proprio atto autoritario. Di fatto spaccando la comunità.
Il fratello che ha particolari atteggiamenti, differente sensibilità, opinioni anche religiose diverse che non sono condivisibili dal pastore o dal collegio di pastori che si autodefiniscono nella comunità, l’”autorità”, spesso si trova ad essere calpestato moralmente e privato della libertà in Cristo.
Nelle comunità verticistiche (più o meno palesi) esiste quindi la reale possibilità che alcune decisioni siano prese in nome di un fittizio bene comune, ma che in realtà nascondono un protagonismo autoritario che non solo non edifica, ma danneggia e svia la comunità. L’autorità nella chiesa di credenti non può quindi essere autoritaria e tantomeno essere un uomo o un collegio di uomini la sua espressione. L’autorità nella chiesa di credenti non può che continuare ad essere Gesù e depositari di questa autorità non possono che essere tutti quelli che ne fanno parte, nessuno escluso, in egual misura. Nessuno deve farsi chiamare maestro o guida, perché nel Cristo si trova l’unico Maestro e l’unica Guida e gli altri sono tutti fratelli. Nessuno è quindi delegato a comandare su altri che devono ubbidire: è una chiesa di eguali. Se tutti i membri della Chiesa-Comunità sono dei credenti nati dallo Spirito, non può esserci nessun interprete privilegiato della volontà di Dio, e di conseguenza, visto che i santi si riuniscono nel nome di Gesù, lo Spirito Santo alberga in essa Comunità, chiamata a discernere ciò che è bene da ciò che è male.
Si confonde, spesso intenzionalmente, l’insegnamento Paolino della diversità dei ministeri o dei servizi, ai quali vengono preposti quei membri della comunità in cui siano riconosciute le capacità adeguate o, meglio i “doni” largiti liberamente ed illimitatamente dallo Spirito Santo, con il reputare quei membri di livello superiore, tale che alcune decisioni concernente il “bene comune” sono prese dagli stessi senza consultare la Comunità.
Bisogna fare chiarezza. Anche se è la Comunità che giudica i carismi, riconosce un ministero e ne controlla l’adempimento al punto se necessario da disconoscerlo, ciò non significa che ci possono essere ministri investiti di tale qualifica indipendentemente dal ministero. E, altresì, se è riconosciuto un determinato carisma, questo non si allarga al potere decisionale che compete, soprattutto per fatti che riguardano la sfera del giudicare, in esclusiva alla Comunità dei credenti tutti.
Rm 13:1
Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori; perché non v'è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono ordinate da Dio;
Rm 13:2
...talché chi resiste all'autorità, si oppone all'ordine di Dio; e quelli che vi si oppongono, si attireranno addosso una pena;Rm 13:3
...poiché i magistrati non son di spavento alle opere buone, ma alle cattive. Vuoi tu non aver paura dell'autorità? Fa' quel ch'è bene, e avrai lode da essa;
I versi nel capitolo 13 della lettera di Paolo ai Romani spesso intenzionalmente si attribuisce un significato lontano dal contesto: dato che ogni autorità viene da Dio, si legittima ogni inutile se non deplorevole esercizio autoritario della conduzione comunitaria .
La parola “autorità” deriva dal verbo latino “augeo”, che significa “incremento, promuovo”.
Il compito proprio dell’autorità è quello di promuovere il bene comune.
Il compito proprio dell’autorità è quello di promuovere il bene comune.
Ora, nel caso del potere politico, non è possibile un’ordinata e pacifica convivenza dei cittadini senza un’autorità che li coordini, che faccia giustizia nei casi di contesa, che difenda i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli ed indifesi. L’autorità è connaturale per la società. E per questo si dice che è di diritto naturale, il cui autore è Dio. Sotto questo aspetto l’autorità umana proviene da quella volontà di Dio, che vien detta volontà di beneplacito.
Ma sebbene ogni autorità venga da Dio, non ne segue che tutto quello che essa comanda sia voluto da Dio.
Se i comandi dell’autorità sono legittimi, allora obbedire all’autorità equivale in definitiva a obbedire a Dio. Ma se i suoi comandi sono iniqui, non si può evidentemente attribuirli a Dio. E se sono in contrasto con la legge di Dio, si dovrà disobbedire. L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio che ne è il primo principio e l’ultimo fine. L’autorità umana può obbligare moralmente solo se è in rapporto intrinseco con l’autorità di Dio, ed è una partecipazione di essa.
In tal modo è pure salvaguardata la dignità personale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai Poteri pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nel suo vero significato è un atto di omaggio a Dio creatore e provvido, il quale ha disposto che i rapporti della convivenza siano regolati secondo un ordine da Lui stesso stabilito; e rendendo omaggio a Dio, non ci si umilia, ma ci si eleva e ci si nobilita, giacché “servire Deo regnare est”.
Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare in coscienza, poiché bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 5,29); in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso.
La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza.
2Cor 10:8
Poiché, quand'anche io mi gloriassi un po' di più dell'autorità che il Signore ci ha data per la edificazione vostra e non per la vostra rovina, non ne sarei svergognato.
2Cor 13:10
Perciò vi scrivo queste cose mentre sono assente, affinché, quando sarò presente, io non abbia a procedere rigorosamente secondo l'autorità che il Signore mi ha data per edificare, e non per distruggere.
Anche in questi casi Paolo parla di una autorità autorevole e non impositiva, dimostrato dal fatto che il suo agire è per edificare e non per distruggere.
Ma questo obiettivo è costantemente tradito nelle Comunità dove pur predicando l’amore, si pratica l’autoritarismo. A dimostrazione di ciò sono le innumerevoli Comunità libere che nascono non per un reale bisogno di adunanza, ma piuttosto per divisioni e scissioni comunitarie: atto di fede è stare insieme non separarsi!
In conclusione, l’apostolo Paolo esortò gli anziani di Efeso a badare a se stessi (Atti 20:28): un breve sermone che non si impara velocemente! A riguardo di questa esortazione, desidero citare un passaggio della predicazione di Richard Baxter rivolta ai ministri di culto in cui li invita a considerare cosa significa badare a se stessi.
Possono fuggire l’ira a venire coloro che trascurano ed abusano delle verità che predicano? Conosco alcuni sarti che vanno vestiti di stracci, mentre confezionano vestiti eleganti per i loro clienti! E ci sono delle cuoche che stentano a vivere, eppure imbandiscono tavolate ricche di cibi succulenti! Credetemi fratelli, Dio non salverà nessun uomo perché è un predicatore, né perché è un buon predicatore, ma egli salva i peccatori perché li giustifica e li santifica. Badate a voi stessi, dunque, affinché siate ciò che cercate di persuadere altri ad essere e abbiate creduto di cuore alle verità che vorreste inculcare nel cuore di coloro cui predicate.
Fonti:
- Riflettiamo insieme nello spirito di R. Derossi.
- Pacem in terris di Giovanni XXIII
- Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, 93, 3, ad 2
- Badate a voi stessi predicazione di Richard Baxter
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