5.10.10

Esiste una "Confessione di fede" anabattista?

Lo Spirito di Gesù ci permette di confidare in Dio in ogni aspetto della vita, così da diventare portatori di pace che rinunciano alla violenza, amano i loro nemici, ricercano la giustizia, e compartecipano ciò che possiedono con chi è nella necessità.
(dalla Testimonianza di Fede della Conferenza Mondiale Anabattista-Mennonita)


UGO GASTALDI

LE CONFESSIONI DI FEDE NELL’ANABATTISMO

In che senso non c'è una vera 'Confessione di fede' anabattistica


Nella letteratura del movimento anabattista ci imbattiamo in una quantità notevole di documenti che portano il titolo di 'Confessione di fede' (Glaubensbekenntnis) oppure quello equivalente di 'Resoconto (Rechenschaft) della nostra fede'. Essi costituiscono di fatto una testimonianza della fede dei vari gruppi di anabattisti in determinati luoghi e momenti, ma nessuno rientra nella categoria delle tradizionali Confessioni di fede, anche se a queste talvolta si accostano per la forma in cui sono redatte.
Da queste ultime le Confessioni di fede degli anabattisti vanno distinte per due ragioni essenziali: la loro provenienza e la loro destinazione. Non sono cioè espressioni di qualche organo ecclesiastico, supercomunitario o intercomunitario, cui sia stato assegnato il compito di redigerne o approvarne il testo, e nemmeno quest'ultimo è redatto con l'intenzione di farne la regola di fede ufficiale ed autorizzata di un gruppo di comunità, rappresentativa verso l'esterno ed obbligante verso l'interno.
In realtà queste Confessioni per la loro origine e la loro natura sono e restano sempre 'private', anche quando un gruppo di comunità praticamente vi si riconosce e talvolta persino le fa proprie e le usa come espressioni autorevoli dei contenuti della comune fede.
Si può quindi senz' altro affermare che dall' anabattismo non ci sia venuta una vera e propria 'Confessione di fede', che si possa collocare tra quelle storiche prodotte dalle varie chiese della Riforma (Confessio Augustana, Confessio Belgica, Confessio Helvetica, Westminster Confession, ecc.).
Vedremo quale plausibile spiegazione si possa dare di questo fatto, ma non prima di aver veduto un po’ più da vicino, sia pur succintamente, che cosa effettivamente sono le 'Confessioni' lasciateci dagli anabattisti.

Va subito detto, al fine di eliminare un equivoco, che quella che fu a lungo considerata la prima Confessione di fede anabattistica ed impropriamente chiamata 'Confessione di Schleitheim' [vedi Indice, Documenti: Accordo (Confessione) di Schleitheim 1527)] non si può in realtà considerare una 'Confessione', nemmeno in senso lato. Il suo stesso titolo, 'Fraterna unione (Brüderliche Vereinigung) di alcuni figliuoli di Dio riguardo a sette articoli', ci dice che si tratta del testo di un accordo su alcuni particolari punti che erano considerati essenziali all'identità delle comunità anabattiste. Essi sono: il battesimo, la scomunica, la Cena del Signore, la separazione dal mondo, l'elezione dei pastori, la non resistenza e il giuramento. Non vi sono vere e proprie dichiarazioni di fede, cioè affermazioni relative a principi fondamentali di dottrina, che probabilmente sono taciuti perché dati per scontati o da nessuno messi in discussione. Gli estensori del documento si indicano semplicemente come 'alcuni figliuoli di Dio', senza apporvi il loro nome e attribuirsi qualche autorità: sanno di interpretare e vogliono puntualizzare l'insegnamento che comunemente viene dato nelle loro comunità, mirando senza dubbio anche a denunciare implicitamente un diverso modo di intenderlo.
Gli 'Articoli di Schleitheim' (così più esattamente si deve chiamare il documento) né per la forma quindi né per il contenuto costituiscono una Confessione di fede, limitandosi essi a sottolineare semplicemente la posizione delle comunità anabattiste (e di quelle della Germania meridionale ln particolare) in questioni su cui ben diverso era il sentire delle chiese della Riforma, nessuna delle quali del resto si era ancora data una Confessione. La prima delle numerose Confessioni della Riforma, quella di Augusta, è del 1530: non si può davvero attribuire agli anabattisti, conoscendoli bene, una priorità proprio in questo campo.

Che cosa sono le Confessioni di fede degli anabattisti

Quello che è proprio delle tradizionali Confessioni di fede, sotto l'aspetto almeno della sostanza, lo si trova invece assai più negli altri documenti anabattistici che si presentano più espressamente col titolo di 'Confessioni'. Se per distinguerli e classificarli si adotta il criterio della loro destinazione, li si può distribuire approssimativamente in tre sezioni.

- 1) Non poche di queste Confessioni sono dichiarazioni o testimonianze di fede redatte per essere usate all'esterno delle comunità, nell'occasione di dispute o più spesso di processi, nella maggior parte dei casi a richiesta delle autorità civili. Esse hanno sempre un carattere apologetico più o meno accentuato. Gli estensori dei testi, siano singoli o piccoli gruppi, se ne assumono personalmente la responsabilità, anche se dichiarano che i principi di fede esposti sono quelli comunemente professati nelle comunità cui appartengono.
Possono rientrare in questa sezione le confessioni del tipo di quella inoltrata da Pilgram Marpeck nel 1532 al Consiglio della città di Strasburgo ed intitolata 'Rechenschaft meines Glaubens' (Resoconto della mia fede), o di quella ancor più nota di Peter Riedemann scritta 1n carcere nell' Assia intorno al 1545 , accettata in seguito come testimonianza della comune fede della Fratellanza Hutterita e stampata nel 1565 col titolo 'Rechenschaft unserer Religion, Leer und Glaubens' (Resoconto della nostra religione, dottrina e fede). La 'Rechenschaft' di Riedemann ha indubbiamente assunto il carattere di un documento ufficiale, ma formalmente è un trattato dottrinale, non una Confessione di fede.
Una caratteristica di queste Confessioni, come è comprensibile, è l'impronta fortemente personale che esse presentano quando gli estensori le scrivono in circostanze particolarmente drammatiche: assai spesso nella consapevolezza di dover affrontare il martirio. Se ne sono trovate non poche negli atti processuali conservati negli archivi di stato. Molte volte copie di questi scritti riuscivano a passare oltre i muri delle carceri e a pervenire alle comunità, che le usavano come letteratura edificante per i propri membri. Ne troviamo varie nelle cronache degli Hutteriti nel 'Martelaarspiegel' dei Mennoniti ed in raccolte di scritti edificanti di altri gruppi. Una larga diffusione ebbe la confessione redatta da Thomas von Imbroich (morto martire a Colonia nel 1558), stampata nel 1560 e più volte riedita col titolo "Confessio. Ein schöne Bekanntnus eines frommen und gottliebenden Christen" (Confessione. Una bella confessione di un cristiano pio amante di Dio). L'autore vi confessa la sua fede cristiana facendo principalmente l'apologia del battesimo dei credenti, ma con tutto il calore della sua persuasione e della sua dedizione alla verità dell' evangelo. Formalmente e sostanzialmente anche questo è un trattato dottrinale.

- 2) Costituiscono un'altra sezione quelle Confessioni di fede compilate da gruppi frazionistici per giustificare la loro separazione dal gruppo principale. Si hanno esclusivamente a cominciare dall ' ultimo quarto del secolo XVI nell' ambito del gruppo anabattista-mennonita, che da allora fu travagliato da una serie impressionante di scissioni. Il primo di questi documenti risale al 1577 ed è opera di un gruppo di predicatori della frazione 'Waterlander'. Per la forma essi sono assai vicini al genere tradizionale delle Confessioni di fede, ma manca loro ogni sigillo di autorità o semplicemente di ufficialità. Rispecchiano soltanto le convinzioni dei sottoscrittori ed a motivo del prestigio di questi possono al massimo essere considerate rappresentative ed autorevoli.

- 3) Possono collocarsi infine in una terza sezione quelle confessioni che sono state concepite ed usate da vari gruppi (o frazioni di gruppo), insieme o separatamente, come strumenti di verifica o di confronto delle proprie posizioni dottrinali.

a) Distingueremo, nell'ambito di questa sezione, il caso di quei documenti che sono stati redatti al fine di verificare l'esistenza di una comune base dottrinale, in vista di mantenere o stabilire un rapporto di comunione fraterna tra gruppi di origine diversa. Un esempio di queste compilazioni lo abbiamo nel cosiddetto 'Concetto di Colonia', del 1591, firmato da quindici predicatori dell'Olanda e del Basso Reno, appartenenti ai gruppi dei Mennoniti e dei Fratelli Svizzeri. Più che di un credo comune, si tratta di una serie di affermazioni su punti che avevano dato luogo a contrasti (come quello particolarmente della scomunica).
Altri documenti del genere servirono di base a trattative di unificazione tra gruppi diversi. Se ne ha un esempio nel trattato hutterita intitolato 'Brüterliche Vereinigung zwischen uns und etliche Brüdern am Rheinstrom' (Fraterno accordo tra noi ed alcuni fratelli nel corso del Reno), del 1556-57, che è un vero confronto dottrinale tra Hutteriti e Fratelli Svizzeri: ma è un'opera di un unico redattore, il missionario hutterita Hansel Schmidt. Ciò non toglie che la Fratellanza Hutterita l'abbia sempre considerata una significativa testimonianza della propria dottrina.
Per uno scopo analogo venne redatta in Olanda la cosiddetta 'Belijdenis van Hans de Ries' (Confessione di Hans de Ries), dal nome del suo principale estensore, avendo un gruppo di separatisti inglesi esuli ad Amsterdam avanzata la proposta di unirsi alla comunità mennonita-waterlander di quella città (1608). L'unione non si fece, ma la Confessione ebbe una larga accettazione ed influenza, sebbene fosse opera di un uomo e non avesse mai avuto una approvazione ufficiale.

b) Un numero considerevole di Confessioni di questo tipo comparvero nel periodo 1615-65 nell' ambito del mennonitismo, come strumenti delle molteplici iniziative con cui si cercò di mettere riparo allo scandalo degli scismi che avevano frantumato il gruppo originario. Apparve allora utile definire e mettere per iscritto i punti dottrinali e disciplinari che potevano essere accettati da tutti e costituire la base della riunificazione. Di questi documenti ricordiamo solo, per la loro importanza, il cosiddetto Olijftacxken (Ramoscello d'ulivo) del 1627, la Confessione di Jan Cent, del 1630, e la Confessione di Dordrecht, del 1632. L'autorità delle affermazioni invocata in queste Confessioni di fede è soltanto morale, in quanto esse vengono presentate come testimonianze della Parola di Dio. E' significativo a questo proposito come nell'Olijftacxken viene indicato il suo contenuto: "Istruzione scritturale, in merito a chi siano coloro sui quali riposa lo Spirito di Dio, e come essi anche siano obbligati e tenuti alla pace ed all'unità, data in risposta alla questione: Quali sono i segni fondamentali, sicuri, distintivi, in base a cui- i figliuoli di Dio e discepoli di Cristo possano e debbano essere identificati secondo la testimonianza della Parola del Signore”. Di queste Confessioni, in breve, è sempre avvertita la strumentalità e la relatività, e soprattutto il loro essere sottoposte alla Parola di Dio. Esse hanno solo una funzione mediatrice tra credenti che si appellano tutti alla 'sola Scriptura': è soltanto l'interesse per la pace e l'unità della chiesa a sollecitarle e a giustificarle.
Si può però dire che le Confessioni delle chiese della Riforma siano state intese diversamente? Nell' introduzione alla Formula di Concordia (1577) è espressamente dichiarato: "I simboli e gli altri scritti del genere non hanno come la Sacra Scrittura, l'autorità di giudicare: non sono che testimonianze e dichiarazioni di fede ... "
Per altra via dunque, con molto ritardo e dopo dolorose lacerazioni, i discendenti degli anabattisti arrivavano al punto in cui altre chiese nate dalla Riforma si trovavano già da tempo: il riconoscimento dell'utilità, se non della necessità, di documenti come le Confessioni di fede.

Come spiegare la mancanza di una Confessione di fede anabattistica

Non ignorando il fatto che il movimento anabattista ha avuto origine da un appassionato interesse per la Chiesa di Cristo, che anzi ciò che lo distingue è l'essersi posto seriamente il problema di una autentica comunità evangelica, v'è da chiedersi perché nella sua storia - in quella naturalmente che ci mostra il movimento nella pienezza della sua originalità e della sua forza - non si registri nemmeno un tentativo di vera e propria Confessione di fede, del genere di quelle, per intenderei, che hanno sottolineato i momenti più significativi della storia e della cristianità.

Una risposta a questo interrogativo non può avere che carattere congetturale e va cercata soprattutto nello spirito del movimento.
Non regge molto, come spiegazione, la considerazione in parte giusta che nessun gruppo anabattista può aver trovato le opportunità di tempo e di luogo necessarie all' elaborazione di un documento così importante, a motivo della spietata persecuzione che travolse sin dai suoi inizi il movimento e costrinse i suoi capi ad una vita errabonda.
Non è lecito però pensare che, richiedendo l'elaborazione di una confessione di fede un notevole livello di preparazione teologica, gli anabattisti fossero privi di uomini dotati di questo requisito; perché all'origine del movimento si trovano non poche persone che avevano una rispettabile cultura teologica.
Forse merita più attenzione la circostanza che il movimento non ha mai avuto un carattere unitario e si è sviluppato in più centri, non senza interrelazione, e sotto la guida di più leaders, talvolta assai diversi per orientamento spirituale e temperamento. Il movimento sin dai suoi inizi si è trovato diviso in gruppi le cui posizioni dottrinali erano ben lontane dal coincidere, sebbene non mancassero dei principi fondamentali comuni, sufficienti a conferire un' identità propria a tutto il fenomeno dell' anabattismo. In queste condizioni, e nelle circostanze già innanzi considerate, sarebbe stata un' impresa davvero ardua, ammesso che vi fosse davvero l'animo e la volontà di tentarla, quella di abbozzare una articolata Confessione di fede comune.
Un ostacolo più serio all' elaborazione di un documento del genere potrebbe vedersi nel fatto che sin dal principio le comunità anabattiste si configurarono consapevolmente come comunità locali autonome, dando origine di fatto a quel tipo di congregazionalismo che avrà in seguito un ben più forte sviluppo in altri movimenti. Escludendo la possibilità di costituire al di sopra delle comunità locali un' autorità collegiale sia permanente che occasionale, veniva a mancare l'organo che avrebbe potuto formalmente legittimare e rendere eventualmente obbligante il testo di una comune dichiarazione di fede.
In realtà l'idea di un simile documento nemmeno si affacciò alla mente dei leaders del movimento, né al fine pratico di precisare in qualche modo autorevole in che cosa credessero gli anabattisti, se non altro per mettersi al riparo dalla pioggia di calunnie infamanti che si riversò su di loro né per l'opportunità di caratterizzarsi come gruppo tra altri gruppi di anabattisti di differente sentire, specialmente quando l'essere confusi con un gruppo aberrante, come potevano essere gli anabattisti di Münster, poteva dimostrarsi estremamente rovinoso. E' sorprendente a pensarci bene, che non sia valsa nemmeno una così evidente e pesante necessità, a costringere qualche gruppo di anabattisti a stilare per uso sia interno che esterno una organica serie di articoli che puntualizzassero anche sommariamente la loro posizione (come avverrà, lo abbiamo visto, solo in epoca posteriore).

Dobbiamo volgerci ad altre considerazioni se vogliamo tentare di capire un fatto così notevole.
Non si trova negli scritti degli anabattisti una presa di posizione nei riguardi delle Confessioni di fede, salvo quella assunta sin dal principio nei riguardi degli storici simboli conciliari della chiesa antica (Nicea, Calcedonia), ai quali fu sempre contrapposta in linea di principio l'unica ed esclusiva autorità della Sacra Scrittura. Non si dimentichi che gli anabattisti come altri radicali e a differenza dei Riformatori, non credevano nella continuità storica della chiesa di Cristo e ritenevano che dell' età apostolica non fossero sopravissute che le Scritture. Solo tardivamente tra i Mennoniti d'Olanda, quando si cominciò a compilare Confessioni in vista delle riunificazioni, venne sollevata da parte delle frange più conservatrici la questione della loro legittimità.
Certamente gli anabattisti, più di ogni altro gruppo di radicali , nutrivano diffidenza e ripugnanza insieme per tutto quello che poteva apparire una sovrapposizione di autorità alla loro coscienza ed alla comunità locale. Si può capire come anche un documento con delle dichiarazioni di fede potesse apparire un abuso: all' atto pratico questo era un collocare accanto alla Scrittura, sia pure sottoposta ad essa, una fonte di giudizio e di discriminazione. Anche se si trattava di rimandi alla Sacra Scrittura, la scelta di un certo numero di articoli era sempre un' operazione arbitraria, come arbitraria era la pretesa di farne regola.
Del resto anche della 'confessione di fede' in se stessa gli anabattisti (e non solo loro) avevano un concetto fortemente limitativo. Una vera 'confessione di fede' per essi non poteva essere che quella resa personalmente ed effettivamente in ben determinate circostanze di luogo e di tempo. Chiamare 'confessione di fede' una serie di dichiarazioni scritte, sia pur desunte inappuntabilmente della Sacra Scrittura, era commettere per lo meno una grossa improprietà di linguaggio: era confondere un atto di vita con un pezzo di carta.
Si trattava di un atteggiamento che rientrava in un modo fortemente esistenziale di concepire la fede, quale era quello degli anabattisti, i quali hanno sempre affermato con polemica insistenza che la "fede" non consiste tanto in "credere" quanto in "vivere".

Non bisogna dimenticare infine il sentimento assai diffuso tra gli anabattisti di costituire la comunità escatologica, la chiesa degli ultimi tempi chiamata a testimoniare e a soffrire mentre nel mondo l’iniquità raggiungeva il suo culmine, come era provato dalla spaventosa persecuzione di cui essi erano oggetto. Nell’imminenza della venuta del giusto Giudice, la confessione di fede che contava era quella che ogni credente rendeva nella fornace in cui si trovava.

© Ugo Gastaldi

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